Questa settimana vi tedio un altro giorno in più rispetto al solito, ma lo faccio presentandovi un collega di primo livello, quindi spero vorrete perdonare me e la direzione che mi ha dato il via libera.
Ambrose Evans-Pritchard è un’istituzione del giornalismo economico-finanziario mondiale da oltre venticinque anni. Prima come corrispondente e inviato in Europa, Stati Uniti e America Latina e dal 1991, quando entra al Daily Telegraph, come corrispondente da Washington e Bruxelles prima e come responsabile dell’International business oggi.
Insomma, uno che sa come informarsi, quali indicatori leggere, quali situazioni ritenere degne di attenzione quando gli altri colleghi nemmeno si accorgono che alcune cose siano successe. Ciò che segue è il frutto di una chiacchierata dedicata all’Italia, paese che Ambrose ama – anche per ragioni familiari – e sul presente e futuro del quale ha le idee molto chiare, soprattutto in questo momento di turbolenze politiche.
«Il mio punto di vista personale è che molti investitori non si siano ancora nemmeno accorti di questa crisi politica, questo poiché hanno adottato un consolidato punto di vista sull’Italia basato su due certezze: che il debito combinato pubblico-privato è ok e che Tremonti sia un superman. Penso che al momento restino saldamente ancorati a queste convinzioni. Se Tremonti se ne andasse, questo sì che causerebbe preoccupazione sui mercati. Se il deficit di budget fosse rivisto al rialzo in stile Grecia, Bulgaria o Ungheria da un nuovo governo, questo sì che farebbe scattare gli allarmi.
Ovviamente, a oggi, i rendimenti dei bond non si sono mossi, questo perché i mercati non si interessano delle baruffe tra Berlusconi e Fini, delle intercettazioni, dei massoni o quant’altro: sanno benissimo che in Italia le coalizioni vanno e vengono… Attenzione, però, perché possono cambiare idea in maniera molto rapida. A oggi, se Fini si buttasse nel Tevere, al di fuori dell’Italia nessuno lo noterebbe neppure».
E cosa potrebbe scatenare questo cambiamento repentino di giudizio, quindi? Un ammutinamento palese dei finiani? Un cambio di governo per giungere a un esecutivo tecnico o di garanzia che gestisca la crisi, il rientro dal debito, la riforma elettorale? Oppure l’ipotesi di elezioni anticipate?
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«La mia preoccupazione riguardo l’Italia è strutturale. Il vostro paese è intrappolato in un sorta di slump permanente alla giapponese all’interno dell’eurozona perché ha perso il 30% di competitività del lavoro rispetto alla Germania e continua a perdere, non potendo però svalutare la propria moneta. Deve rivedere al ribasso gli stipendi per recuperare competitività, anche perché la Germania non ha la minima intenzione di rendervi la vita più facile attraverso la reflazione. Questo potrebbe causare una deflazione netta del debito, a sua volta responsabile di una traiettoria di spirale all’insù per il debito pubblico italiano.
Il grosso degli eventi che ci attendono, però, dipendono dal fatto se ci sarà o meno una ripresa piena a livello globale o una double dip negli Usa destinata a contagiare subito dopo l’Europa. Sospetto che siamo in situazione di depressione a lungo termine.
Per quanto riguarda ancora l’Italia, a oggi non ho un giudizio netto sui cds di debito sovrano per il semplice fatto che gli attuali rendimenti dei bond dicono abbastanza. E al momento ci dicono che non c’è crisi, anche se negli ultimi tre anni abbiamo imparato che i mercati si gettano contro i bond a livello rotativo, scatenandosi di colpo e con forza da un paese all’altro a causa del deterioramento del debito».
Il fatto è che un rischio difficilmente gestibile è dietro l’angolo, Fini e Berlusconi a parte. Per Ben May della Capital Economics la bassa crescita renderà più difficile spezzare il ciclo del debito: «Una volta che i tassi d’interesse saliranno ancora, il debito potrebbe cominciare a esplodere. Pensiamo che il livello dei debiti governativi potrebbe spingere i mercati a puntare i loro sguardi sull’Italia e il default, a quel punto, è una possibilità distintiva».
Una cosa è certa: sia le autorità europee che il Fondo Monetario Internazionale non possono permettere una simile ipotesi: state certi che stanno seguendo con grande attenzione il melodramma politico in atto a Roma. «Good luck, Italy», chiosa Ambrose Evans-Pritchard a fine chiacchierata. Ne ha bisogno.