Difficile destreggiarsi tra retroscena e necrologi, quando dalla prima banca del paese se ne va un top manager in carica da 15 anni: un quarto della storia del dopoguerra. Il bilancio della parabola di Alessandro Profumo è certamente materia da storiografi, non da cronisti. E nei loro studi le radici dell’uscita di scena dell’amministratore delegato di UniCredit non saranno individuate nella partita di potere che pure è stata disputata in questi giorni: più sulla testa e sulla pelle di Profumo che di sua iniziativa.
Al manager, sicuramente, l’investimento delle istituzioni libiche nella banca di Piazza Cordusio è risultato gradito: ha segnalato interesse da parte dei capitali internazionali nel dopo-crisi, ha dato vitalità al titolo in Borsa, ha precostituito un possibile riequilibrio tra i soci stabili, concentrati su fondazioni bancarie italiane e presenza incombente dell’Azienda Germania. Ma parlare di auto-scalata – sulla scia di quella realizzata da Vincenzo Maranghi in Mediobanca – è fuori luogo, e alla fine lo sguardo benevolo di soggetti come il premier Silvio Berlusconi o il presidente delle Generali Cesare Geronzi (storicamente mai amici di Profumo) ha solo accelerato la resa dei conti con il presidente tedesco Dieter Rampl e con l’attivismo neo-leghista della Fondazione CariVerona.
E stavolta, Profumo, non ha potuto contare – come tante volte in passato – sull’inattaccabilità dei risultati: i mega-utili, le super-performance del titolo in Borsa. Ecco, qui sta forse il punto, sempre in attesa degli storici: anche Profumo, presumibilmente, aveva perso fiducia dopo il crac di Lehman Brothers. Come tanti banchieri che proprio in questi giorni stanno gettando la spugna (da Barclays e Lloyds), era sopravvissuto al crollo del loro mondo.
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Profumo – a differenza di tanti altri – aveva coraggiosamente denunciato subito all’inizio della grande crisi, archiviandolo, il modello bancario “originate to distribute”. Quello che – in teoria – prometteva una perfetta gestione dei rischi finanziari con la loro totale polverizzazione sul mercato. Quello che invece aveva visto la banca ridotta a piazzare un mutuo insostenibile (quasi fosse una partita di droga avariata) per poi far sparire subito le tracce rimpiazzando il rischio in portafogli di risparmiatori lontani e ignari sotto forma di continue cartolarizzazioni.
Profumo se n’è andato, in fondo, perché stanco di una lunghissima marcia fuori dalle mura dei sistemi bancari pubblici e nazionali attraverso le terre promesse (ma sconosciute) del privato e del globale. Una marcia approdata però – lui certamente non pensava e non voleva – nella peggior crisi bancaria della storia, in una grave recessione economica. Il suo abbandono – probabilmente definitivo – merita quindi il massimo rispetto.