Fra i tanti che guardano con particolare interesse alle vicende di Unicredit dopo l’uscita di scena di Alessandro Profumo, c’è anche Franco Bernabè, amministratore delegato di Telecom Italia. Questo cambio così repentino alla guida del primo gruppo bancario italiano rappresenta qualcosa di rivoluzionario nel sistema del potere finanziario.
Chi ha voluto davvero l’uscita del manager genovese dopo 15 anni di onorato servizio durante i quali ci sono state più luci che ombre? Chi prenderà il suo posto? Quando ci sarà il passaggio di testimone? E quali saranno i nuovi equilibri nelle stanze della finanza che conta?
Bernabè guarda a questa partita anche con un po’ di distacco, da spettatore, certo. Ma con molta partecipazione. Fino a tempi relativamente recenti, era la sua poltrona a essere messa in discussione quasi quotidianamente da un gruppo di azionisti (Intesa, Mediobanca, Generali e Telefonica) sempre in contrasto l’uno con l’altro e indecisi sul futuro da assegnare alla società telefonica.
Ora invece quei venti di guerra sembrano essersi placati. Il più severo critico di Bernabè, Cesare Geronzi, da quando è passato dalla presidenza di Mediobanca a quella della Generali pare meno interessato a modificare il corso delle cose in Telecom (anche se non si può mai dire, quando si tratta di Geronzi); gli azionisti esterni al patto di sindacato (la famiglia Fossati) hanno smesso le loro ricorrenti critiche al management lanciate a mezzo stampa; gli spagnoli di Telefonica paiono rassegnati, per il momento, a continuare nella loro avventura italiana così com’è (anche se non è propriamente felicissima e di loro soddisfazione). Quindi acque più tranquille per l’amministratore delegato di Telecom, che ne può approfittare (e lo ha fatto) per prendere alcune decisioni non rivoluzionarie, ma importanti per la sua azienda.
Si tratta di una strategia di piccoli passi, che sembra studiata per non dare nell’occhio, per non risollevare quei polveroni che in passato hanno provocato polemiche a non finire. Così, per esempio, Bernabè ha potuto annunciare il lancio della cosiddetta nuvola, una nuova piattaforma di servizio concepita per la piccole e medie imprese; ha potuto affermare (senza che nessuno gridasse alla scandalo) che la tanto dibattuta rete a banda larga, oggetto di infinite guerre politico-finanziarie, la farà la Telecom stessa. Ma in queste settimane, grazie al clima così mutato attorno a lui, Bernabé può anche godersi un successo personale al quale tiene particolarmente.
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Come tutti sanno, l’arrivo di Enrico Mentana a La 7, la rete controllata appunto da Telecom Italia, con l’avvio del nuovo telegiornale è stato un evento di assoluto rilievo nel microcosmo televisivo italiano. Gli ascolti sono schizzati, praticamente triplicati rispetto a quelli che registrava tradizionalmente quel tg sempre considerato un fratello minore. E l’effetto Mentana sembra esercitare una benevola influenza su tutta la rete. Certo è presto per cantare vittoria: l’audience è complessa da misurare e valutare; non bastano poche settimane per poter affermare di aver vinto una partita; il successo (indiscutibile, ammesso e celebrato anche da tutta la concorrenza) ha bisogno di tempo, deve consolidarsi, trasformarsi in una tendenza costante. Tutto vero. Però quel guizzo nel numero di telespettatori che la sera schiacciano il tastino numero 7 del loro telecomando c’è stato, e qualcosa vuol dire.
Intanto vuol dire che Bernabè si sente sicuro sulla sua poltrona. Aver chiamato uno dei giornalisti anchorman più famosi d’Italia, uscito da poco più di un anno – e litigando – dalle reti Mediaset di Silvio Berlusconi, non è stato un atto neutro, la mossa di ordinaria amministrazione di un manager che cerca di fare il meglio possibile nell’azienda che gli è stata affidata. La scelta di Mentana significa che Bernabè ha deciso di smettere con la politica seguita finora da Telecom: lasciar vivacchiare La 7 (accettando di ripianarne ogni anno le perdite) senza però permetterle di diventare un vero competitor di Rai e Mediaset.
Detta in termini molto semplici, Bernabè ci prova. Tenta di fare di quella rete televisiva una realtà che possa camminare sulle sue gambe, trovarsi uno spazio di mercato. E i primi numeri che arrivano dopo l’ingresso di Mentana (certo provvisori, come si è detto, ma promettenti) indicano che l’operazione potrebbe riuscire. Se la crescita di audience registrata dal tg si trasferisse, anche in parte, sull’intera rete, allora La 7 potrebbe presentarsi con buone credenziali all’utenza pubblicitaria, portando via una fetta di quegli ambitissimi spot che rappresentano un buona parte del fatturato della Rai e la totalità di quello Mediaset.
Una mossa vincente, dunque, anche se non molto gradita in casa Mediaset, che è anche casa del presidente del Consiglio. Se Bernabè ha deciso di poterla fare, ci avrà prima pensato bene.