Nel suo recente articolo, James Charles Livermore accenna a quello che lui stesso definisce “un aspetto fondamentale: l’unità di misura”. La questione ovviamente merita ben più di un accenno. Ora, l’unità di misura di un sistema economico è per definizione la moneta. E la questione dell’unità di misura, anche a causa dell’attuale crisi finanziaria, è tornata prepotentemente alla ribalta, proprio perché, nell’ambiguità dell’attuale ideologia liberista, non è stata mai definita.



Questa mancanza di definizione dipende, senza tanti giri di parole, dagli interessi in gioco. Come dire “mi hanno rubato in casa” senza dire che c’era anche la cassaforte, poiché poi bisognerebbe spiegare perché avevo una cassaforte e cosa c’era dentro. Il sistema bancario e finanziario ha gozzovigliato per decenni sulla mancanza di una definizione dell’unità di misura; poi, nel momento della crisi, approfittando sempre della mancanza di una definizione, ha tentato di far pagare il conto all’economia reale.



Proviamo ora un approfondimento. Cosa intendiamo dire, in concreto, quando proponiamo e accettiamo frasi del tipo di quelle proposte da Livermore: “Quando confrontiamo dati macroeconomici, qual è il minimo comun divisore di tutti questi numeri? La crisi del 2007 ci ha insegnato che questo elemento irriducibile è l’individuo”? Cosa vuol dire in concreto accettare questa impostazione? Quali sono i riflessi concreti per la finanza e l’economia? Quali conseguenze per la definizione di una unità di misura?

Se l’elemento irriducibile è l’uomo, vuol dire per l’economia che al centro della questione c’è il lavoro dell’uomo. Quindi occorre uno strumento monetario che “prenda le misure” a partire dal valore del lavoro dell’uomo, e a partire da questo possa dare valore (cioè misurare il valore) di tutto il resto. Ma porre l’uomo al centro della questione vuol dire porre i rapporti umani al centro della questione. E cosa caratterizza i rapporti umani nel tessuto economico?



Ciò che connota i rapporti umani in un tessuto economico evoluto, non primordiale, cioè un tessuto economico in cui sia presente una qualche forma monetaria, è la fiducia. Io sono disposto ad accettare moneta in cambio della mia merce, poiché confido di poter dare la stessa moneta in cambio di altra merce. Quindi deve esistere una cosiddetta “fiducia sociale”, composta sicuramente da tanti fattori sociali, la cui espressione in campo economico e finanziario è data dalla presenza consolidata di un sistema monetario. Sicuramente tale fiducia sociale dipende da diversi fattori non economici (per esempio, uno stato presente, una macchina burocratica efficiente, la mancanza di eccessivi conflitti sociali, la fiducia nelle forze dell’ordine, ecc.).

PER CONTINUARE L’ARTICOLO CLICCA >> QUI SOTTO

Ora occorre comprendere un elemento cruciale. La moneta, in riferimento alla fiducia, non è un mezzo, ma uno strumento. La distinzione da porre è sul fatto che uno strumento ha la stessa natura dell’oggetto di cui è strumento. E la corrispondenza biunivoca tra moneta e fiducia è una cosa evidentissima: non solo non vi è moneta quando vi è diffidenza reciproca (e in effetti il baratto è stato ed è la norma tra comunità culturalmente distanti, come cristiani e musulmani nel Medioevo), ma succede anche il contrario, che cioè un problema squisitamente monetario (sulla qualità delle banconote, per esempio, e quindi sulla facilità di una falsificazione) distrugga una fiducia preesistente. In conclusione, la fiducia preesisteva alla moneta e alimenta la sua costituzione, la moneta stessa e la sua circolazione sostengono e alimentano la fiducia. E la facilità di circolazione monetaria è l’indice migliore di una fiducia diffusa e correttamente espressa da un mezzo monetario adeguato.

 

Da questo punto di vista, con l’euro attualmente siamo proprio messi male. Con le premesse che abbiamo fin qui svolto, si capisce subito che l’Europa e le sue istituzioni monetarie, a partire dalla Bce, lavorano proprio su un piano scorretto. La prima evidenza, che questa crisi ha fortemente accentuato, è che l’euro in gran parte non circola. Il percorso obbligato di ogni singolo euro nasce dalle banche centrali degli stati coinvolti, e prosegue nelle banche commerciali di quegli stessi stati. Da qui, come autorevoli studi di economisti della Banca d’Italia hanno già mostrato, la maggior parte degli euro prende la strada della finanza. Cioè non entra nell’economia reale. Cioè non circola.

 

La situazione è peggiorata con l’attuale crisi finanziaria, ma era strutturalmente compromessa fin dall’inizio. E questo dipende dalla natura dell’attuale moneta, l’euro. Se per moneta utilizzassimo dei sassi, la natura di questa moneta creerebbe dei problemi di circolazione (problemi di portabilità, sfiducia per facilità di falsificazione, ecc.) che finirebbe col deprimere l’economia stessa.

 

I problemi connessi con la moneta euro dipendono sostanzialmente dal modo in cui nasce. Ogni euro nasce con un debito: viene creato dalla banca centrale e addebitato da chi lo ha richiesto. Questa situazione è all’origine della spirale del debito sempre crescente che affligge tutta l’economia. Se infatti solo le banche centrali sono autorizzate a stampare moneta, per pagare i propri debiti con gli interessi tutti i soggetti economici (stato incluso) saranno costretti a tornare dal sistema bancario e fare nuovi debiti per pagare i precedenti.

 

Ormai il sistema debitorio (detto altrimenti “sistema del credito”, appare più “politicamente corretto”) e gli strumenti finanziari connessi (titoli di stato, derivati, credit default swap, ecc.) sono di diversi ordini di grandezza superiori all’economia reale. Questo è il grande male dell’attuale crisi finanziaria. Hanno nascosto il problema, creando moneta per coprire quel debito; ma tutta la moneta è debito, quindi hanno coperto debito con debito, in uno sviluppo “criminale” che ogni persona di buon senso avrebbe rifiutato. Ma da questo grande male non si può guarire, se non ci si rende conto del problema monetario che l’ha originato. E il problema è la moneta debito.

 

Se la natura della moneta è la fiducia, se il cosiddetto “sottostante” della moneta (la copertura della moneta) è quella che noi abbiamo chiamato “fiducia sociale”, allora è immediatamente chiaro che un debito è uno strumento monetario inadeguato a una società libera, che vuol riconosce l’uomo e le sue relazioni come elemento ineliminabile. Se il centro del nostro operare sociale vuole essere il bene comune, il debito è uno strumento monetario totalmente inadeguato.

 

PER CONTINUARE L’ARTICOLO CLICCA >> QUI SOTTO

Se vogliamo costruire un ambiente sociale dove alcuni servizi essenziali, alcuni servizi sociali di base, devono essere garantiti a tutti, allora occorre includere tra questi anche la moneta come bene sociale, così come lo sono la fiducia e la pace sociale. La conseguenza immediata è che una certa quantità di moneta, limitata e predefinita, deve essere distribuita gratuitamente a tutti i cittadini, al pari dell’istruzione o dei servizi sanitari di base.

 

Oltretutto, una certa quantità di moneta non a debito è indispensabile al corretto funzionamento dei mercati finanziari. Il mercato stesso richiede che vi sia questa moneta priva di debito. E se questa moneta non è presente, sarà il mercato stesso, con le sue devastanti energie, a crearlo.

 

Come può il mercato creare moneta libera dal debito? Tramite i fallimenti. Se io prendo 100 a prestito per sviluppare un’attività imprenditoriale, e poi riesco a guadagnare solo 70, restituirò 70 e fallirò. Vuol dire che io ho speso 100 sul mercato, ma dal mercato ho ricevuto solo 70. Con il mio fallimento, i 30 che ho speso e non ho recuperato, sono ancora nel mercato, stanno circolando nel mercato, liberi dal debito. Con il mio fallimento, quei 30 non devono più essere restituiti a qualcuno.

 

Questo è il modo in cui avremo la fine della crisi: quando sul mercato sarà disponibile una sufficiente quantità di moneta libera dal debito. E questo può accadere in due modi: o perché viene immessa una certa quantità di moneta senza che sia addebitata a qualcuno; oppure questa verrà creata dalla forza distruttrice del mercato, tramite un “adeguato” numero di fallimenti. Ma occorre rendersi conto che un “adeguato” numero di fallimenti vuol dire una catastrofe economica, un disastro capace di distruggere una generazione intera. Proprio come nel 1929, con la Grande Depressione.

 

Questa è la prospettiva che abbiamo davanti. O ci prepariamo a una nuova Grande Depressione, oppure ci prepariamo a pensare e costruire un sistema economico che preveda anche la stampa e la distribuzione gratuita di moneta. Una rivoluzione di cui in futuro parleranno i libri di storia.