Il governo è già molto in ritardo per definire una politica economica di espansione da accostare a quella del rigore. Il rigore senza sviluppo annulla gli effetti del primo. Inoltre l’azione di rigore va qualificata per renderla più incisiva e mirata. Fino a che queste due azioni non verranno fatte, e bene, la ripresa in Italia resterà lenta.
Questa non è una critica al governo perché chi scrive si rende conto delle situazioni di emergenza in cui si è trovato dal 2008 in poi. Finora ha dovuto tappare i buchi di un modello economico inefficiente ed invecchiato nel quadro di una tempesta mondiale. E non si può dire, onestamente, che abbia fatto male. Da qualche mese la situazione è cambiata. La ripresa è lenta, ma l’economia sta girando di nuovo con i propri motori e questo vuol dire che l’emergenza è finita. Da qui in poi il governo deve, velocemente, attuare un politica economica, in particolare fiscale, che amplifichi la capacità spontanea di crescita del mercato e così accelerare la ripresa. Inoltre deve sperimentare un metodo diverso da quello “lineare” per definire i tagli di spesa pubblica, allo scopo di ottenere in qualche anno l’obiettivo del pareggio di bilancio per non aumentare il debito ed allo stesso tempo minimizzare l’effetto deflazionistico dei tagli stessi e renderli “intelligenti”.
La priorità, sul lato del rigore, è quella di definire quanta amministrazione pubblica e a quale costo sia veramente utile e necessaria. Perché la spesa da tagliare, per dare spazio alla detassazione stimolativa nell’ambito del pareggio di bilancio, non è solo quella classificata “spreco”, ma anche, e molto di più, quella che alloca denari fiscali per cose ed azioni che sono inutili.
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Per esempio, quanti dipendenti veramente servono allo Stato, Regioni e Comuni, ed enti derivati, per fornire un servizio amministrativo efficiente? Dopo la rivoluzione informatica certamente molto meno di quanti siano ora. Quanti? Non lo sappiamo con esattezza perché la materia non è mai stata studiata in quanto non vi è stata la volontà politica di farlo. Il ministro della Funzione pubblica Brunetta ha perseguito l’obiettivo di far lavorare di più i dipendenti statali, ma non ci ha detto quanti veramente servono e quanti no. E quindi non abbiamo un piano di riduzione dei costi a questo livello. Lo stesso in Comuni e Regioni ed enti collegati. Peggio, senza questo piano di risparmio non sappiamo quanto possiamo pagare di più insegnanti, poliziotti e medici ospedalieri, e personale assimilabile, che forniscono servizi assolutamente necessari e sono sottopagati.
In generale, il metodo di Tremonti di tagliare spesa imponendo a tutti i settori di spesa pubblica la medesima decurtazione è devastante. Da un lato, Tremonti non poteva fare altro perché era in emergenza e mancava nel governo una funzione con il compito di definire i diversi livelli di utilità e priorità della spesa. Dall’altro, così non si può andare avanti perché si rischia di tagliare l’essenziale e di mantenere il superfluo.
Inoltre, senza una strategia pensata è difficile che si possa tagliare la spesa in modo sufficiente da servire i due obiettivi di pareggio di bilancio prospettico e taglio delle tasse. Il secondo è vitale per la politica di espansione. Se non si lascia qualche soldo in più nelle tasche dei dipendenti, riducendo il carico fiscale in busta paga, sarà impossibile aumentare i consumi e, quindi, la crescita interna. Meno tasse e vincoli servono per incentivare più investimenti nelle imprese e, quindi, più occupazione oltre che export più competitivo. D’ora in poi il governo va incalzato affinché faccia queste cose.