Il piano di Barack Obama, che prevede di investire 50 miliardi di dollari in opere pubbliche come antidoto alla recessione, non farà altro che peggiorare il debito pubblico americano, la cui situazione è già di per sé disastrosa. Senza riuscire a restituire vitalità all’economia Usa, in quanto i finanziamenti saranno pari solo allo 0,1% del Pil annuo degli Stati Uniti. Lo sostiene Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison e professore di Economia industriale all’Università cattolica, secondo cui al contrario il rilancio dell’economia mondiale può venire da una politica Ue in grado di creare una maggiore integrazione tra l’Europa e la Cina.
Professor Fortis, come valuta il piano di investimenti pubblici voluto dal presidente Obama?
In un momento come quello attuale in cui l’indebitamento dei consumatori americani è alle stelle, il tentativo della Casa bianca è di far ripartire la domanda interna attraverso la leva dei finanziamenti federali. Il debito delle famiglie Usa al 31 marzo 2010 è infatti pari al 119% del Pil, contro il 44% dell’Italia, il 53% della Francia e il 63% della Germania. E questo è il risultato di una politica sconsiderata, che ha portato a regalare ai disoccupati finanziamenti da 400mila dollari per comprarsi casa, che presto si sono trasformati in mutui tossici portandoli a indebitarsi oltre le loro possibilità.
La strada percorsa da Obama è dunque una possibile soluzione?
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Non credo che sarà sufficiente a rilanciare l’economia. I suoi 50 miliardi di dollari in sei anni sono infatti meno dello 0,1% del Pil Usa, pari a 13.500 miliardi di dollari l’anno. Ma soprattutto vanno a incrementare il debito federale, che è a quota 13.442 miliardi di dollari, cui si aggiungono altri 2.454 miliardi di dollari di passivo nei bilanci di Stati e municipalità (l’equivalente dei nostri Comuni, ndr). Mi domando quindi che ne sarà dei conti pubblici Usa. In alcune città, come Kansas City, sono state chiuse le scuole pubbliche perché non ci sono più i soldi per pagare gli insegnanti. La situazione è critica: il piano di Obama può avere un certo respiro, ma le spese per gli investimenti incidono sul bilancio e potrebbero peggiorare il quadro finanziario disastroso in cui si trova la nazione. Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 quella degli Usa è stata infatti una crescita a debito, e nel futuro del Paese vedo il rischio di un declino che sarà speculare alla crescita della Cina.
E l’Europa seguirà il declino degli Usa?
Da noi la situazione è completamente diversa, soprattutto in Italia, Francia e Germania dove l’indebitamento delle famiglie è molto basso (a differenza che in Gran Bretagna, dove è pari al 101% del Pil, e in Spagna, dove è all’86%). Questo compensa il debito pubblico dell’Italia, il cui indebitamento nell’ultimo anno è stato addirittura più basso che in Germania: in un certo senso siamo diventati tedeschi anche noi… Per non parlare del fatto che Italia e Germania sono due dei cinque Paesi al mondo con il maggiore surplus industriale (insieme a Cina, Giappone e Corea del Sud). Ma soprattutto, l’Europa ha un punto di forza che potrebbe farne la guida dell’economia mondiale.
Qual è questo punto di forza?
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Le nostre riserve auree sono ancora intatte (a differenza dell’oro Usa di Fort Knox). E se solo l’Ue riuscisse ad adottare una politica davvero comune, potrebbe rilanciare l’economia dei Paesi membri attraendo gli investimenti cinesi. Barroso ha annunciato l’intenzione di emettere degli eurobond destinati agli investimenti infrastrutturali. E secondo Quadrio Curzio le risorse auree dell’Ue potrebbero essere utilizzate per garantire gli eurobond.
E il governo italiano che cosa può fare?
Fare ripartire la domanda interna è molto difficile, perché il mercato italiano è già saturo. E d’altra parte il modello tedesco è irraggiungibile, perché in Italia non abbiamo i grandi gruppi industriali della Germania. Ma al di là delle differenze, né il governo italiano né quello tedesco possono far crescere il Pil fino al 2%: già prima della crisi economica la crescita era ferma allo 0,5%.
Quale può essere quindi la via d’uscita?
Una maggiore integrazione tra Ue e Cina, con una Cina che sappia non solo produrre ma anche consumare, e un’Europa che sappia cogliere l’opportunità legata a un bacino 1 miliardo e 300 milioni di consumatori, in grado di assorbire la produzione e l’export delle industrie italiane e tedesche.
(Pietro Vernizzi)