Settembre segna sempre la ripresa dei lavori parlamentari e tanti sono i temi che dovranno essere affrontati. Tra questi c’è forse il rischio di dimenticare quello del ritorno dell’Italia al nucleare. Se infatti l’obiettivo ambizioso è quello di avviare la prima centrale entro il 2020, bisogna far sì che la tabella di marcia non subisca ritardi già da subito. Come spiega Fulvio Conti, amministratore delegato di Enel, in questa intervista, entro la fine dell’anno occorre che sia effettivamente istituita l’ Agenzia per la sicurezza nucleare.
A che punto si trova l’Italia nel percorso verso il nucleare? La prima centrale potrà essere effettivamente avviata nel 2020?
Enel, insieme a EdF, ha formato un’alleanza con l’obiettivo di realizzare almeno la metà del programma nucleare annunciato dal governo italiano. È però indispensabile il completamento della cornice di regole e in quest’ambito è di particolare rilevanza l’istituzione dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, di cui attendiamo il varo entro fine anno. Una volta completato il quadro di riferimento normativo, saremo in grado di attivare investimenti per circa 18 miliardi di euro e realizzare quattro reattori nucleari EPR di terza generazione avanzata. Se questo calendario sarà rispettato, potremo avere il primo megawattora da fonte nucleare entro il 2020.
Che ricadute potrebbe comportare in termini di tecnologia e di nuovi investimenti per il sistema industriale italiano il passaggio all’energia nucleare?
L’industria italiana oggi ha il potenziale per realizzare il 55-60% di un impianto. Circa 500 aziende aderenti a Confindustria hanno già manifestato interesse a partecipare alla futura filiera nucleare e si sono prequalificate negli incontri che abbiamo organizzato con loro nei mesi scorsi. Inoltre le industrie energivore potranno partecipare ai consorzi che possiederanno i nuovi reattori, garantendosi una quota di energia a prezzo di “fabbrica”. Sono anche assai significative le ricadute in termini occupazionali: si tratta di 600 persone assunte per l’esercizio e per la manutenzione dell’impianto, mentre la fase di costruzione coinvolge circa 3.000 persone per cinque o sei anni. Il ritorno del nucleare in Italia è dunque conveniente per tutti, e non solo da un punto di vista strategico per la differenziazione delle fonti di energia.
La domanda elettrica è correlata alla “salute economica” di una nazione. Vedete segnali di ripresa della domanda elettrica in Italia?
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Nei primi sette mesi dell’anno i consumi di energia elettrica hanno ripreso a crescere indicando una ripresa dell’attività economica anche in Italia, ancorché meno marcata rispetto ad altri paesi in Europa e America Latina in cui siamo presenti. Dobbiamo operare per consolidare l’espansione del ciclo congiunturale adottando riforme strutturali in grado di rendere più competitivo il sistema industriale. Enel sta facendo la sua parte riqualificando il mix dei combustibili in favore del carbone e ha messo a punto un piano per riportare l’Italia nel novero dei paesi che utilizzano il nucleare, spingendo inoltre la leva tecnologica delle rinnovabili e favorendo programmi di efficienza energetica con lo sviluppo delle reti intelligenti. L’energia elettrica è la forma più efficiente di energia e pensiamo che riducendo e stabilizzando il costo dell’energia si alleggeriranno i bilanci delle famiglie e le imprese che competono sui mercati internazionali acquisteranno un vantaggio considerevole.
A questo proposito, i primi segnali di ripresa hanno dato vita a timori su un risveglio dell’inflazione: potrebbero verificarsi rialzi nei costi di gas e carbone? Potrebbero esserci impatti sul prezzo dell’elettricità?
La dinamica del prezzo dei combustibili è generalmente volatile e difficilmente prevedibile, perché è legata a numerosi fattori di ordine politico ed economico che sfuggono al nostro controllo. Per assicurare alle imprese e alle famiglie un costo dell’energia stabile e contenuto dobbiamo perciò diversificare il nostro mix energetico, riducendo l’eccessiva dipendenza dell’Italia da gas e petrolio. Stiamo dunque puntando sul carbone, sul nucleare e sulle fonti rinnovabili con l’obiettivo di assicurare energia in abbondanza, a costi contenuti e nel rispetto dell’ambiente.
Enel ha avviato il progetto di quotazione di Enel Green Power che includerà le attività nelle energie rinnovabili del gruppo. A che punto è il processo di quotazione e qual è oltre agli aspetti finanziari il senso industriale dell’operazione?
Su Enel Green Power la procedura di quotazione va avanti nei tempi stabiliti, e dunque, se le condizioni di mercato lo permetteranno, saremo pronti a lanciare un’offerta pubblica a fine ottobre. L’apertura del capitale a investitori di minoranza nella nostra società interamente dedicata alle fonti rinnovabili risponde all’obiettivo strategico di valorizzarne le attività e sostenerne la crescita. Gli investitori riconoscono un valore più elevato a realtà come Enel Green Power rispetto alle attività tradizionali di generazione da fonte termoelettrica.
L’attuale quota di investimento di Enel in Endesa si può considerare strategica e adeguata in un’ottica di medio-lungo termine?
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Il controllo e l’integrazione di Endesa in Enel non solo è strategica ma pone il Gruppo ai massimi livelli di competitività globali. Le attività di Endesa in Spagna e in America Latina rappresentano circa la metà del margine operativo lordo di Gruppo: è grazie a queste attività che oggi Enel ha compiuto il salto dimensionale che l’ha proiettata nel novero delle grandi multinazionali dell’energia.
La Russia è un Paese su cui Enel ha scommesso molto in termini di investimenti e di collaborazioni con imprese locali; che risultati state ottenendo e che prospettive ci sono?
La Russia è un mercato promettente ed è in forte espansione. È il mercato in cui con maggior successo abbiamo costruito, come primi operatori esteri, una presenza verticalmente integrata, dall’upstream del gas, passando per la generazione di energia, fino al trading e alla vendita. Siamo inoltre intenzionati a consolidare la nostra leadership con ulteriori investimenti destinati ad aumentare l’efficienza, la capacità produttiva e gli standard ambientali dei nostri impianti.
Lo Stato italiano, come la quasi totalità degli stati europei, ha bisogno di ridurre il proprio debito e il deficit. Quanto sarà in grado Enel di contribuire a questo processo con il proprio flusso di dividendi?
Tra il 1999 e il 2009, in dieci anni, lo Stato italiano ha avuto da Enel 11,8 miliardi di euro in forma di dividendi, ha poi incassato 15,7 miliardi di euro sotto forma di imposte sul reddito e ulteriori 33,7 miliardi di euro sono arrivati alle casse del Tesoro dalla cessione, in più tranche, di quote di capitale Enel, fino all’attuale quota (diretta e indiretta) di poco più del 30%. In totale, dunque, Enel ha portato in dote allo Stato 61,2 miliardi di euro. Senza contare il contributo al sistema delle imprese italiane, quantificabile in circa 48 miliardi di euro di giro d’affari che interessa una media di 17.000 fornitori nazionali all’anno; i 33,5 miliardi di euro versati come stipendi e contributi previdenziali a una media nel decennio di 57 mila dipendenti e i 19,9 miliardi di euro di dividendi che sono andati in questi dieci anni a una media di 1,8 milioni di azionisti di cui la stragrande maggioranza italiani. Enel nei prossimi anni continuerà la politica di dividendi del 60% di pay-out, tra le più interessanti d’Europa, compatibile con una attenta gestione delle risorse destinate agli investimenti e alla riduzione del debito. A questo obiettivo sono dedicate anche le cessioni di attività non strategiche che stiamo conducendo.
Questo flusso può mettere a rischio il rating sul debito dell’azienda?
Con questa strategia basata su una sempre migliore efficienza, sull’incremento della redditività del nostro business sostenuta dalla diversificazione geografica e tecnologica che ci contraddistingue, saremo in grado di mantenere il rating sul debito nella classe “A”, quella cioè della massima affidabilità.