In un periodo in cui continuano le previsioni sull’andamento prossimo venturo dell’economia, la Confcommercio ha diffuso i dati sui consumi degli italiani, evidenziando un calo nel biennio 2008-2009, che ha riportato la situazione ai livelli del 1999. Un quadro a tinte fosche quello presentato dai commercianti, secondo cui i tempi di recupero del terreno perso si prospettano lunghissimi. Ne abbiamo parlato con Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison e professore di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano.



Professore, cosa pensa dei dati sui consumi diffusi ieri dalla Confcommercio?

Se guardiamo ai dati Eurostat, che sono aggiornati al terzo trimestre del 2010, notiamo che l’Italia, dal massimo pre-crisi (primo trimestre 2008) al minimo nel corso della crisi (secondo trimestre 2009), ha visto una riduzione del 3,1% dei consumi privati. Poi dal minimo fino al terzo trimestre dello scorso anno ha recuperato un 1,2% e il divario rispetto al picco pre-crisi è sceso al -2%. La Germania ha fatto meglio di noi, poiché la differenza tra il massimo pre-crisi e il minimo nella crisi (rispettivamente quarto trimestre 2006 e quarto trimestre 2009) è stata dell’1,6%, ha come noi recuperato un 1,2% e il suo divario con il livello pre-crisi è sceso al -0,5%. Tuttavia, va ricordato (e lo fa sempre l’istituto federale di statistica) che nel 2009 Berlino ha messo in campo il più poderoso piano di aiuti ai consumi della storia europea nel settore dell’auto. Ci sono invece altri paesi che hanno fatto peggio di noi.



Quali sono?

La Gran Bretagna ha avuto un crollo del 4,9% dal massimo pre-crisi al minimo nella crisi (primo trimestre 2008 e terzo trimestre 2009), che nonostante una ripresa del 2% lascia il suo divario con il livello pre-crisi a un -2,9%. La Spagna ha perso, nel corso della crisi, il 6,6%, ha recuperato l’1,5%, ma resta con un divario del 5,3% dal massimo pre-crisi. Grecia e Irlanda non hanno addirittura ancora toccato il punto minimo della crisi e finora, rispetto al massimo pre-crisi, perdono rispettivamente l’8,3% e l’11,2%.

Come mai questa differenza?

La differenza si spiega col fatto che Italia e Germania hanno sofferto una crisi dell’export, mentre gli altri paesi hanno avuto problemi con la domanda interna, soprattutto a causa della crisi del settore immobiliare. In questo caso le famiglie, infatti, indebitatesi per poter comprare case che hanno perso valore, hanno visto “bruciare” il loro patrimonio e quindi hanno diminuito i consumi più di quanto abbiano fatto le famiglie tedesche e italiane. Non dimentichiamo comunque che il piano tedesco di sostegno al settore auto è stato molto più forte di quello italiano, tanto da far aumentare le immatricolazioni del 30% circa. L’istituto federale di statistica ritiene che se non ci fosse stato, i consumi sarebbero calati di un ulteriore 1%. Inoltre, in una prospettiva di lungo periodo, come si nota dal grafico sottostante, i consumi tedeschi, sono più deboli di quelli italiani.



La Confcommercio ci dice in ogni caso che siamo tornati ai livelli del 1999.

Secondo me, parlare di ritorno al passato non ha senso. Credo che nel complesso emerga un quadro di criticità imposto dall’austerità che la crisi porta inevitabilmente con sé. I nostri consumi, data l’assenza di bolle, già crescevano relativamente poco, non sono crollati nel corso della crisi e si stanno riprendendo abbastanza velocemente. Ma dato che non si è ancora tornati a costruire ricchezza, le famiglie sono molto restie a intaccare i propri patrimoni, soprattutto quando il tasso di disoccupazione non accenna a scendere.

 

In questo senso la situazione è resa ancora più grave dal livello della disoccupazione giovanile.

 

La disoccupazione giovanile in Italia è esattamente come in Svezia, ed è un fenomeno legato alla crisi degli occupati "anziani" nell’industria, nei servizi, nell’edilizia. Questi sono sempre meno occupati e i loro figli, di conseguenza, trovano meno prospettive di lavoro. Si tratta di una conseguenza della delocalizzazione delle attività lavorative dall’Occidente all’Asia: il lavoro che è andato via non tornerà più indietro. Del resto dopo una crisi come questa, il mondo non sarà più lo stesso.

 

Cosa intende dire?

 

Se andiamo a vedere quel che capitò dopo il ’29, possiamo notare che dopo 10 anni la ricchezza delle famiglie americane era ancora inferiore ai livelli pre-crisi. Ritengo che fino a quando non si saranno ricostituiti i patrimoni, i consumi stagneranno, i Pil resteranno fermi e la situazione non migliorerà di molto. Sono abbastanza pessimista rispetto ai prossimi mesi. Il surplus tedesco, negli ultimi mesi, sta calando e resta comunque sotto la quota pre-crisi, mentre negli Usa i livelli occupazionali restano depressi e l’edilizia impiegherà forse 5-6 anni prima di riprendersi. Con queste pre-condizioni generali, nonostante sia stato evitato il pericolo deflazione, la situazione resta molto difficile.

 

Proprio ieri, però, il presidente della Bce, Jean Claude Trichet, ha detto che l’economia mondiale sta registrando una ripresa migliore delle attese.

Si riferiva soprattutto ai paesi emergenti, che però è come se fossero su Marte rispetto a noi. Fino a quando consumeranno prodotti provenienti da altri paesi emergenti o di qualche multinazionale occidentale che ha delocalizzato lì la produzione, una loro ripresa non avrà grandi conseguenze per le economie avanzate come la nostra. Forse solamente dalla Russia potremo avere qualche effetto positivo, perché si tratta di un mercato molto buono per i beni di consumo made in Italy.

 

Dunque ha ragione Tremonti nel sostenere che la crisi non è finita?

 

Esistono forti elementi di instabilità finanziaria che tengono imprigionata anche l’economia e le impediscono di riprendere fiducia in se stessa. Inoltre, ci sono dati fondamentali dell’economia reale (edilizia ferma, livelli ancora alti di indebitamento delle famiglie in due terzi del mondo occidentale) che non sono incoraggianti. Pensiamo a quanti prodotti del nostro export (piastrelle, mobili, rubinetterie, valvole, lampade, ecc.) sono legati all’edilizia, settore fortemente in crisi. Mi sembra già miracoloso che l’industria italiana riesca a cavarsela in una situazione del genere. Riconosco che si tratta di un quadro un po’ depresso per l’inizio dell’anno, ma è meglio essere realisti.

 

(Lorenzo Torrisi)