“Cercate un libro di economia? Guardate là più avanti, subito dopo lo scaffale dell’astrologia”. La commessa della libreria non sapeva di dare non solo un’informazione logistica, ma anche un preciso giudizio di valore. Non è una favola. In una delle più grandi librerie di Milano i libri di economia sono in fondo, in una saletta nascosta: per arrivarci dovete passare attraverso i classici, i romanzi, la fantascienza, la psicologia, i libri di cucina e quelli di viaggio.
L’economia non va più molto di moda. Decine di volumi sono usciti nelle ultime settimane per raccontare la grande crisi del 2009 e tutti, inevitabilmente, sembrano spiegare come mai nessuno aveva veramente capito la portata di quanto sta accadendo. E così fare previsioni resta sempre un esercizio molto facile: ma il vero problema è quello di riuscire a indovinarle.
Cerchiamo tuttavia di rispondere alla domanda: come andrà l’economia italiana nel 2011? Salvo imprevisti la risposta è semplice: è finita la crisi, ma i segni di ripresa che ci sono appaiono limitati, fragili e tutt’altro che rassicuranti.
I centri di ricerca stimano un aumento del Prodotto interno lordo vicino all’1%: un dato positivo, ma non certo esaltante. Soprattutto perché decisamente inferiore non solo ai dati della Germania, ma anche della stessa media europea che dovrebbe collocarsi attorno all’1,5%. Ma al di là delle percentuali ci sono alcuni dati di fondo che continueranno a rallentare la crescita italiana.
Al primo posto ci sono le difficoltà nel far recuperare competitività al sistema industriale. Nell’anno che si è appena concluso, i due terzi della pur limitata crescita sono stati dovuti alla recuperata vivacità delle esportazioni. Un terzo è stato determinato dagli investimenti, mentre i consumi pubblici e privati sono rimasti praticamente fermi.
La competitività è quindi fondamentale soprattutto di fronte alla sfida sempre più aperta sul fronte globale. Ma come sta dimostrando la vicenda Fiat, le strade per cambiare l’organizzazione del lavoro sono tutte in salite e irte di ostacoli.
Sul fronte dei consumi non sono da attendersi grandi risultati. Ormai l’Italia è un paese in cui c’è, di fatto, un benessere diffuso (anche grazie a un sistema sociale sostanzialmente generoso) e in cui solo l’allungamento costante della speranza di vita e l’immigrazione hanno per ora evitato una riduzione della popolazione. E la crescita demografica negativa non può certo costituire un fattore di sviluppo.
Un altro elemento di freno alla crescita è nel ruolo che può svolgere lo Stato. Non c’è alcuno spazio per aumentare una spesa pubblica che continua a essere fuori linea rispetto ai parametri europei. Ma il vero problema non è quello che lo Stato spende poco (perché la spesa pubblica è più o meno in linea con quella degli altri grandi paesi europei): i veri problemi sono che lo Stato spende male e che per finanziare questa spesa mantiene una pressione fiscale ai livelli più alti.
Spende male perché la necessità di risparmiare ha portato ai cosiddetti “tagli lineari”: si taglia poco a tutti, ma questo provoca inevitabilmente una sempre maggiore inefficienza dei servizi pubblici e quindi un maggiore costo, diretto o indiretto, sul sistema economico.
Con servizi inefficienti (pensiamo alla giustizia civile) e un’alta pressione fiscale non si può certo pensare di attirare quegli investimenti esteri che sarebbero estremamente utili per rendere più moderno un sistema industriale fondato sulle piccole e medie imprese.
Quindi un’Italia ancora a passo lento in questo 2011. Con una disoccupazione che continuerà probabilmente ad aumentare e che manterrà sempre difficile l’accesso dei giovani al mondo del lavoro.