L’attentato di lunedì all’aeroporto di Mosca apre ovvi interrogativi sulla sicurezza interna della Russia e sulla necessità di giungere a una risoluzione della questione caucasica, ma pone anche in evidenza una chiara strategia del terrorismo globale: ovvero, agire secondo i dettami raccontati nel “lontano” 1998 da Qiao Liang e Wang Xiangsui nel loro libro “Guerra senza limiti”. Cioè, colpire su più fronti e combattere anche conflitti nel conflitto, a bassa intensità, che vedano economia e finanza come tessere di un mosaico strategico.
Attaccare un aeroporto risponde a questa logica. Primo, offre una platea di potenziali vittime enorme, soprattutto in scali frequentati come quello moscovita e permette una più facile mimetizzazione tra la folla. Secondo, assesta un duro colpo agli investimenti esteri nel paese: nessuno vuole rischiare di suo in un territorio che non offre stabilità e che vede il suo cuore nevralgico per il business, i collegamenti aeroportuali, come bersagli primari nonostante la formale sorveglianza che dovrebbe contraddistinguerli. Terzo, attaccare un aeroporto significa colpire l’industria dell’aviazione civile, un settore più volte messo in difficoltà da situazioni simili, la più clamorosa l’11 settembre 2001.
Quella aerea è un’industria che paga un’enorme quantità di variabili: la disponibilità economica dei cittadini a viaggiare, ovviamente legata ai cicli economici, il costo del carburante e quindi le fluttuazione del prezzo del petrolio, gli scioperi e il costo del lavoro. La situazione attuale, dati alla mano, è una di quelle che rischia di piegare un settore già in bilico. La battaglia delle tariffe aveva infatti, consentito all’industria di riprendersi dall’annus horribilis del 2009, garantendo anche ricchi dividendi a chi aveva scommesso sulle azioni delle principali compagnie aeree mondiali.
Oggi, però, la corsa del petrolio sopra quota 90 dollari al barile – con un range di fluttuazione previsto dagli analisti per l’anno in corso tra un minimo di 86 dollari e un massimo di 115 dollari – sta facendo tremare molti vettori, visto che in pochi hanno pensato in anticipo a creare una posizione difensiva verso il prezzo del greggio (con la ripresa lungi dal prendere forza, i fondamentali in effetti non deponevano a favore di un aumento dei prezzi, ma Opec e speculazione hanno avuto la meglio) acquistando contratti futures che definissero all’atto della sottoscrizione il prezzo del petrolio da ricevere nel corso dell’anno, a prescindere da eventuali fluttuazioni.
La Delta Airlines lo ha fatto, con una posizione “hedge” (difensiva) pari al 39% del totale fissata a 85 dollari al barile, mentre altre linee, come la Southwest, hanno invece posizioni molto limitate e rischiano di pagare a carissimo prezzo la corsa del greggio sopra quota 100 dollari: maggiori costi che andranno a pesare sui bilanci e, di riflesso, sul costo dei biglietti per i viaggiatori. La stessa Cathay Pacific, un gigante, quest’anno ha fatto scendere la sua posizione hedge sul costo del carburante al 35% dal 50% dello scorso anno, mentre la Malaysian dal 60% del 2010 al 33% attuale.
Nell’ultimo trimestre del 2010, circa 2,84 milioni di barili legati a contratti swap hanno cambiato di mano tra ottobre e dicembre, mentre il volume di contratti legati a swap sul carburante dei jet acquistato da grandi banche è crollato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Non a caso una delle forme di investimento preferita negli Usa è quella di scommettere sul calo del valore azionario di un bouquet di titoli di linee aeree, operazione garantita dal cosiddetto short su un Etf (letteralmente “fondi indicizzati quotati”, sono una particolare categoria di fondi, le cui quote sono negoziate in Borsa in tempo reale come semplici azioni, attraverso una banca o un qualsiasi intermediario autorizzato) denominato Guggenheim Airline, nato nel 2009 e capace in questo arco temporale di raddoppiare nel prezzo grazie alla ripresa del settore.
Basato al 75% su linee aeree statunitensi (tra cui United Continental per il 19% e Delta-Soutwest per un altro 15%) oltre che sull’irlandese Ryanair, questo Etf consente di “spalmare” il rischio tipico di chi punta su un singolo titolo azionario di un comparto che negli ultimi 30 anni ha conosciuto 180 casi di bancarotta, a causa del combinato di alti costi fissi, fluttuazioni del prezzo del carburante, crisi economica e sindacati molto forti e battaglieri. Delle nove linee aree quotate presenti nel fondo Guggenheim, solo due garantiscono rischi commisurati a possibili alti rendimenti, mentre delle altre sette, cinque hanno “alto” livello di incertezza e due addirittura un livello “estremo” stando alle valutazioni degli analisti-guru di Morningstar.
Inoltre, questo fondo è poco liquido, quindi costringe gli investitori a tenere sempre l’occhio bene aperto sullo spread tra denaro e lettera quando trattano. C’è, però, una nota potenzialmente irresistibile: le perdite per chi shorta un Etf simile possono essere infinite se questo continua a salire come ha fatto per tutto il 2010. Oggi, però, i motivi di tensione nel comparto crescono e questo combinato trasforma il Guggenheim nel bersaglio preferito di chi punta al crollo del settore aeronautico civile.
Inoltre, esistono milioni di azionisti su singoli titoli che rischiano di veder trasformato in carta straccia il loro investimento, mentre la grande speculazione gioca allo short selling puntando proprio su quei crolli. E se al prezzo del petrolio in aumento si unirà l’effetto terrore innescato dall’attentato di Mosca, saranno molte le azioni di linee aeree a conoscere la freccia rossa sui listini. Per qualcuno una sciagura, per qualcun’altro una vera fortuna. E il terrorismo globale lo sa.