Oggi si apre il Forum mondiale economico a Davos. Leader politici e di mercato di 100 nazioni cercheranno nuove regole condivise per dare stabilità a unasistema mondiale in rapido mutamento e pericolosa frammentazione. La ricchezza personale (lavoro, risparmio, patrimonio) di chi legge non dipende più, da tempo, dalle situazioni nazionali e locali, ma da quella globale e dal suo impatto sui luoghi. Motivo forte per tratteggiare i contorni del nuovo macroscenario.
Fino a dieci anni fa, il mercato internazionale aveva una forma piramidale: al vertice c’erano l’America e il dollaro e tutto il resto dipendeva da questo pilastro, tra cui la funzione di “prestatore/salvatore di ultima istanza” globale. In caso di guai in qualche parte del Pianeta, la Riserva federale abbassava i tassi del dollaro, ciò induceva un plus di crescita nel mercato interno statunitense che a sua volta assorbiva più esportazioni, così salvando le economie, e le monete, in difficoltà.
L’ultima volta che questo meccanismo – curare i mali economici nella periferia mandando in bolla il centro – funzionò fu nel caso della crisi finanziaria in Asia 1997/98. Poi fu evidente che l’America era ormai troppo piccola per reggere tali sforzi, in particolare, che le bolle comportavano “sbolle” destabilizzanti (2000, 2008). Sia per questo cedimento del centro ,sia per il parallelo ingrandirsi delle periferie, oggi il mercato internazionale è frammentato in tre macroaree principali – dollaro, euro e renvimbi – e una miriade di microaree, ciascuna per sé.
Le ex-periferie hanno tassi di crescita enormi grazie all’esistenza residua del vecchio modello piramidale: tutti a esportare verso l’America, e a importare tanto per esportare di più nell’America stessa. Infatti, si sta uscendo dalla crisi lentamente proprio perché la domanda globale resta ancora centrata su un’America in difficoltà. Il cedimento del centro non ha comportato la sua sostituzione con un altro pilastro. Quale potrebbe essere?
Certamente la trasformazione dei modelli economici delle nazioni emergenti e dell’Europa per far dipendere meno la loro crescita dall’export e più dal mercato interno. La Cina è su questa strada, ma ci metterà almeno un decennio. Per fare più crescita interna l’Europa dovrebbe liberalizzare e dimezzare le tasse, quindi la spesa pubblica, ma non c’è consenso.
In sintesi, il primo problema è che non è in vista un modello che sostituisca quello americocentrico cedente. Con la complicazione di un’America che ha bisogno di trasformarsi da potenza importatrice in esportatrice, abbassando il dollaro, per ridare lavoro alla massa di disoccupati. Il secondo è che non c’è più un centro di governance globale e quindi gli accordi dipendono dalla convergenza spontanea degli attori. Ma America, Cina, Europa hanno interessi troppo divergenti e il massimo che riescono a ottenere è una collaborazione debole.
Ciò sta avendo un impatto pesante sulla stabilità monetaria, in particolare dei cambi. Il pensiero prevalente nel Forum di Davos sarà quello di riuscire a far funzionare il G20 come luogo di convergenza nello scenario post-americano. Ma non credo potrà funzionare, in quanto ciò implica un cambiamento di modelli economici interni che le nazioni non possono fare.
Potrà funzionare in prospettiva, invece, la soluzione di integrare America ed Europa, dollaro ed euro, per ricostruire un centro di governo economico del mondo con la scala sufficiente per riuscirci. È un’opinione di minoranza, ma invito a pensare così perché in un mondo senza centro e comando, o comandato dalla Cina, ci saranno solo guai.