Puntuali come i saldi di fine gennaio, sui mercati finanziari sono arrivati i buoni propositi per il nuovo anno. E trovandoci nel mezzo di una crisi dagli esiti incerti, sia i saldi che i buoni propositi sembrano promettere ottimi affari. Per quanto possa apparire più noioso, concentriamoci su questi ultimi, i buoni propositi, e passiamone in rassegna qualcuno.



È ufficiale: un po’ come “Ritorno al futuro”, pure il Comitato di Basilea arriverà alla trilogia. A quanto si apprende dai primi annunci, sul tavolo del supervisore bancario è in via di rifinitura l’ultima fatica regolamentare, Basilea III. Essa promette ancora più rigore, assicurando che no, mai più vedremo una crisi di tali dimensioni.



Come potrà accadere? È presto detto: i requisiti di liquidità e solidità patrimoniale saranno raddoppiati, il monitoraggio delle esposizioni creditizie sarà affidato al vaglio di matrici complesse e grafici tridimensionali.

Le novità non mancano neppure sul fronte dei rating: quasi tutte le agenzie hanno annunciato nuove definizioni con lo scopo dichiarato di mettere in guardia gli investitori in tempo utile. Moody’s, ad esempio, annuncia il 12 gennaio che gli shadow rating – una sorta di giudizio indicativo per emissioni private – non saranno più assegnati. Nello stesso bollettino, poco sotto, i primi risultati del giro di vite sulle valutazioni: 14 tranches di titoli emessi da un primario istituto spagnolo subiscono un downgrade con effetto immediato.



Giusto per dare un’idea del volume di dichiarazioni che arrivano ogni giorno agli operatori finanziari, nella sola giornata di lunedì 17 gennaio, Moody’s ha rilasciato 27 dichiarazioni (fonte: Bloomberg, NI Moodys), spaziando dalla valutazione creditizia di Ukreximbank, una banca ucraina, fino all’analisi strategica della finanza strutturata in Giappone.

Nel frattempo, il comitato internazionale per gli standard contabili, il funambolico IASB, non è rimasto con le mani in mano: il 13 gennaio lo IASB ha annunciato che una nuova disciplina in materia di perdite su crediti sarà presto pubblicata in accordo con il FASB, comitato per gli standard contabili statunitense (perché esistono due autorità, IASB e FASB? È un po’ come nel pugilato, dove diverse federazioni si contendono il diritto ad assegnare la cintura di pesi massimi).

Giunto a questo punto, qualcuno si domanderà il perché di tanto sarcasmo. Il motivo è semplice. Gli impatti di tutte queste regole sulla nostra vita quotidiana sono stati e restano enormi. E più indaghiamo sui meccanismi che portano a decisioni così importanti, maggiore è la dose di ironia necessaria per continuare a indagare. Scherzi a parte, le conseguenze di questi e dei precedenti buoni propositi della burocrazia finanziaria sono molto più dirette di quanto possa apparire a una prima analisi.

Le regole di Basilea III influenzano le modalità di emissione di un mutuo o di una carta di credito, modificano le condizioni di un conto corrente, fanno la differenza quando si acquista un’auto a rate. I principi contabili internazionali influenzano le politiche creditizie delle banche, arrivando a stabilire se e quanto denaro possa essere prestato a un’impresa in cattive acque. Per quanto riguarda lo strapotere di un’agenzia di rating, di questi tempi è sufficiente avere in portafoglio un titolo di Stato europeo per sapere di cosa si stia parlando.

A questo punto propongo un test. Nominare almeno una persona impiegata con ruoli di responsabilità all’interno dello IASB, del FASB o del comitato di Basilea. L’esercizio può estendersi alle agenzie di rating: citare almeno un dirigente di Moody’s, Standard&Poor’s o Fitch.

Non si tratta di una caccia all’untore. È piuttosto un album di figurine popolato da perfetti sconosciuti. E, infatti, anche cercando gli autori delle analisi più interessanti (come, ad esempio, un recente rapporto sulle crisi di sistema pubblicato dal Comitato di Basilea il 12 novembre 2010), l’impresa è ardua. Nessuna firma in calce al testo, nessuno che ci abbia messo la faccia.

Pur non essendo un critico cinematografico, posso spingermi ad affermare che Apocalypse now è un bel film. C’è una scena di questa pellicola che spiega bene la situazione assurda in cui siamo impantanati oggi. Dopo mille peripezie, il capitano Wallard raggiunge la prima linea statunitense asserragliata tra i pilastri di un ponte sul fiume Nung. La battaglia tra i due schieramenti è furibonda e il ponte di Do Long, ultimo avamposto americano, è distrutto ogni notte per essere ricostruito il giorno successivo. Wallard scambia alcune parole con un militare impegnato negli scontri: entrambi pensano che l’interlocutore sia il comandante responsabile della trincea. È il caos.

Da venticinque anni ormai, l’economia mondiale crolla sotto i colpi di crisi sempre nuove e viene ricostruita sulla base di regole sempre più rigide. Eppure in molti sospettano che la crisi successiva sia giusto dietro l’angolo. Per scongiurare la minaccia di una recessione senza fine, le autorità finanziarie si impegnano a costruire sistemi di valutazione impersonali, così da non trovarsi a dipendere dai giudizi delle persone. È la tecnofinanza: un mondo di procedure minuziose in cui nessuno è responsabile.

Eppure, tra le parole entrate a far parte del vocabolario finanziario di uso comune c’è un termine anglosassone che nasconde una provocazione. Mi riferisco a equity, il capitale azionario. Equity rimanda al latino aequitas, un termine giuridico che stabilisce una simmetria tra impresa economica e responsabilità: in poche parole, chi investe, decide. E di tali decisioni rimane responsabile.

L’aequitas, dunque, è l’opposto della tecnofinanza: non a caso negli accordi di Basilea l’equity è sostituito dal Tier 1, un requisito patrimoniale calcolato sulla base di sofisticate equazioni. Mandare in soffitta l’equity ci salverà dalle prossime crisi? Prima di rispondere, la tecnofinanza dimostri che le procedure stanno al passo con la realtà.