Nel messaggio alla nazione il Presidente della Repubblica ha enfatizzato la nostra responsabilità collettiva di riordinare l’Italia per renderla meglio funzionante a favore dei giovani, facendo riferimento esplicito alla priorità di ridurre il debito pubblico. Come, tecnicamente?

Il debito pubblico italiano è di circa 1,8 trilioni di euro, quasi il 120% del Pil. Ogni anno lo Stato deve pagare circa 70 miliardi di interessi ai possessori dei titoli. Immaginiamo cosa si potrebbe fare se questi denari fossero impiegabili in altro modo. Potremmo avere una riduzione sostanziale delle tasse ed allo stesso tempo sia portare a zero il deficit annuo nel bilancio statale sia allocare più risorse fiscali per costruire scuole, strade, infrastrutture modernizzanti in generale e meglio finanziare la ricerca nonché migliorare i servizi, in particolare la sanità.



Il tutto, perfino, senza dover ridurre gli eccessi di spreco che ora caratterizzano gli apparati pubblici nazionale e locali. Se, poi, tagliassimo anche gli sprechi potremmo contare su oltre 100 miliardi in più da usare bene, cioè per detassazione ed investimenti costruttori di futuro. Ma restiamo sul problema specifico del debito. Fino a che non ne abbatteremo il valore assoluto e ridurremo la spesa annua per interessi, i soldi sopra citati non ci saranno. Ciò impedisce di tagliare le tasse, di fare investimenti modernizzanti e di migliorare i servizi. Il debito ci costringe a finanziare il passato e non il futuro.



Non solo. Rende l’Italia più vulnerabile perché lascia pochi margini per la finanza pubblica d’emergenza. Per compensare gli effetti della crisi recessiva 2008-09, le cui conseguenze deprimono ancora l’economia, si è creata molta spesa in deficit, aumentando il debito. Il mercato che periodicamente ne compra i titoli – si pagano quelli giunti a maturazione con emissione di nuovi – vede che il debito aumenta invece di diminuire, perde fiducia sul fatto che lo ripagheremo e pretende un premio per il rischio, così aumentando i costi.

Questa è l’emergenza corrente, collegata a quella strutturale di un volume di debito così elevato da togliere risorse allo sviluppo. Complicata dal fatto che la politica non ha più poteri di discrezionalità: non può ridurre le tasse, deve tagliare la spesa senza poter fare altro, il dimostrare che potremo ripagare il debito e restare nell’euro la massima priorità. In sintesi, il debito blocca tutto, deprime l’economia e impedisce di investire sul futuro. La priorità di ridurre il debito dovrebbe sostituire quella del rigore finalizzato a renderlo credibile.



  

Cioè: più taglio debito e meno devo spendere per interessi, così attutendo il rigore. Ma la politica finora non ha dichiarato la priorità della riduzione del debito, fermandosi alla sola priorità del rigore. E’ forse impossibile? No, è difficile, ma possibile con una formula fatta di diverse azioni combinate: (a) vendere patrimonio per cancellare una parte del debito; (b) tassa una tantum per lo stesso scopo; (c) più crescita del Pil.

 
Più volte ho sostenuto nei miei articoli, qui ed altrove, una strategia che punti a ridurre di almeno il 10% (180 miliardi), in un colpo, il debito avviando le azioni (a) e (b). Le risorse liberate permetteranno (c) avviando, pur lentamente e gradualmente, un ciclo virtuoso. Ci sarebbero anche opzioni più forti.

  

Il problema è che fino a che ne parleremo solo sui giornali e non nei luoghi della politica non riusciremo a capire cosa si può realmente fare. Quindi l’enfasi di Napolitano sulla priorità della riduzione del debito è un ottimo avvio della soluzione, finalmente.