Sergio Marchionne non si ferma; il 2010 è stato certamente un anno di cambiamenti e si potrebbe concludere addirittura con due contratti a livello di stabilimento. Dopo Pomigliano d’Arco, dove il referendum ha sancito la vittoria dell’amministratore delegato, è in gioco il futuro di Mirafiori.
Nello stabilimento campano, Fiat riporta la Panda, dallo stabilimento polacco di Tichy, una contro-delocalizzazione, in cambio di una maggiore flessibilità nei contratti. Lo stesso risultato vuole raggiungere a Mirafiori, dove l’investimento di Fiat potrebbe raggiungere il miliardo di euro, con la produzione di modelli di gamma elevata con il marchio Jeep e Alfa Romeo.
Anche in questo caso la partita con il sindacato è aperta, poiché Fiat propone di uscire dal contratto nazionale dei metalmeccanici. Una rivoluzione, che in realtà, in Germania, primo paese produttivo europeo per numero di automobili, è ormai una realtà da anni. I maggiori sindacati, ad eccezione della Fiom, hanno firmato “l’accordo di Natale”, nel quale si decide di adottare il metodo Pomigliano anche in Piemonte, ma il tutto deve passare da un referendum. Una notizia positiva che si scontra con la visione pessimistica della Fiom e di alcuni partiti politici che hanno attaccato questo accordo, bollandolo di incostituzionalità.
La nuova Fiat di Marchionne si sta staccando sempre più dal modello Italia, nel quale l’azienda sopravviveva grazie agli aiuti statali. Certo, quando arrivano dei sussidi, Fiat non rinuncia ai regali della politica. Questo è il caso americano, dove l’amministrazione Obama ha deciso di salvare con i miliardi dei contribuenti americani Chrysler, per poi “regalarla” al sindacato Uaw e a Fiat. Da un primo calcolo, il salvataggio di Stato dovuto al concetto sbagliato del “too big to fail” costerà 3 miliardi di dollari, nonostante la casa automobilistica di Detroit si stia lentamente riprendendo grazie alla “cura Marchionne”.
L’ad di Fiat sta spostando il baricentro dell’azienda dall’Italia agli Stati Uniti? In parte questo è inevitabile e in realtà è un fatto già compiuto. Se fino a un decennio fa l’azienda torinese produceva oltre il 50% dei propri veicoli in Italia, prima ancora dell’avventura americana la casa automobilistica del Lingotto produceva nel nostro Paese circa 650 mila autovetture dei 2 milioni prodotti dal totale dell’azienda.
Con la fusione Chrysler e senza investimenti in Italia, la quota di produzione italiana sarebbe scesa a circa il 12% del totale mondiale, mentre con il piano “Fabbrica Italia”, nel quale vengono investiti 20 miliardi di euro nel nostro paese, dovrebbe rimanere intorno al 20%.
Cosa chiede Marchionne in cambio? Una rivoluzione nei rapporti di lavoro, nei quali il salario sia più legato alla produttività dello stabilimento. La diminuzione della pausa di 10 minuti nel turno di lavoro, con un incremento dello stipendio, è uno degli elementi che non è stato accettato dalla Fiom.
La produttività delle fabbriche italiane deve aumentare necessariamente e questo una parte del sindacato l’ha compreso. Produrre con 20 mila addetti e cinque stabilimenti lo stesso numero di vetture dello stabilimento polacco di Tichy che ha un terzo degli operai non è accettabile per Fiat. La rivoluzione che si sta compiendo in Italia potrebbe essere un traino per il cambio dei rapporti di lavoro in Italia.
Questi cambiamenti sono necessari, ma non sufficienti a garantire un futuro per Fiat. Il mercato è sempre più globale e difficile, come dimostra anche la caduta dei titoli delle casa automobilistiche tedesche, lunedì scorso dopo la decisione di limitare il numero di targhe nelle principali città cinesi.
Fiat, anche dopo la crescita in Chrysler, potrebbe non essere abbastanza grande per vincere la sfida globale. Se l’azienda torinese è un player di medie dimensioni nei due principali mercati maturi, Europa e Stati Uniti, rischia di rimanere indietro nei mercati in via di sviluppo.
A parte la forte presenza storica in Brasile, negli altri Paesi sconta una presenza debole. Solo in Russia è stato fatto un accordo per crescere in questo mercato, ma in Cina e India, la situazione per la casa automobilistica italiana è molto complicata.
Fiat può avere un futuro in Italia se davvero i sindacati comprenderanno la sfida davanti alla quale si trova l’azienda italiana. Fiat può avere un futuro se la rivoluzione Marchionne riuscirà in Italia, ma questo elemento può non essere sufficiente di fronte alle difficoltà di un mercato globale.