L’impresa, finora, non è mai riuscita. Anzi, non è mai stata tentata. Ma, sull’onda della riscossa dell’auto Usa, Bob King, neo leader del sindacato americano dell’auto, ha lanciato l’offensiva per entrare negli stabilimenti delle case straniere che producono negli States: i gruppi giapponesi, ma anche le factories controllate dai gruppi tedeschi e francesi.
È una mossa strategica, anche nei tempi. Tra pochi mesi, infatti, entrerà nel vivo la discussione del nuovo contratto per i Big di Detroit, Chrysler compresa (dove, comunque, il sindacato Uaw si è impegnato a non scioperare fino al 2015), in cui le Unions chiederanno di partecipare al ritorno al profitto, dopo anni di sacrifici. Senza, però, penalizzare l’auto Usa rispetto ai competitors, Hyunday o Toyota poco importa, che operano in Alabama o Tennessee.
Ma il segnale è importante anche per un altro motivo: la stagione della partecipazione del sindacato alla gestione delle fabbriche (in Chrysler il fondo sindacale Veba detiene il controllo e l’Uaw ha un membro in consiglio) ha rafforzato la Union, nonostante i sacrifici chiesti agli operai, soprattutto ai neoassunti che si devono accontentare di una paga oraria dimezzata rispetto ai veterani.
Non è l’unica novità sul fronte rapporto tra capitale e lavoro in arrivo dagli Usa. Nei prossimi mesi, infatti, si annuncia una fiera battaglia tra i fondi pensione, a partire dal California Public Employees Retirement System, ovvero Calpers, il potente e battagliero fondo pensioni dei dipendenti pubblici della California, e i board delle principali aziende, prima fra tutti Apple, il gigante che proprio a inizio anno ha superato la capitalizzazione di 300 miliardi di dollari a Wall Street, più o meno il valore dei fondi amministrati da Calpers.
Bob Feckner, insegnante in pensione di Napa Valley, ha inviato, in qualità di presidente di Calpers, una advisory shareholder resolution a Steve Jobs, reo di non aver risposto alla richiesta del fondo. In sostanza, Calpers, che controlla lo 0,6% del colosso di iPhone e iPad, vuol mettere ai voti l’introduzione di un nuovo metodo di elezione del consiglio di amministrazione. Secondo le regole attuali, infatti, basta un solo voto favorevole (cioè quello di Jobs) a consentire la conferma di un consigliere proposto dal board. Agli altri azionisti, invece, è consentita solo l’astensione. Un meccanismo che ha reso più facili gli abusi dei manager, a partire dall’assegnazione di ricchi bonus con criteri discrezionali.
Tutto questo dovrebbe cambiare con la campagna assembleare dell’anno prossimo, quando entreranno in vigore le norme approvate dalla Sec, che prevedono l’introduzione del principio di maggioranza, violentemente combattute dalla Camera di Commercio Usa, punto di riferimento delle lobbies, che teme il condizionamento “politico” dei board e delle assemblee. Il condizionale è d’obbligo, perché la riforma a suo tempo è passata solo a stretta maggioranza, tre contro due, con l’opposizione esplicita dei due membri repubblicani della commissione. E la lobby della Camera di Commercio, lamentando il rischio di “un’eccessiva influenza degli investitori istituzionali sulle aziende americane”, ha promesso una lotta senza quartiere, in tribunale e al Congresso.
Intanto Calpers, in prima linea nelle battaglie di corporate governante e tutela dei soci di minoranza, ha lanciato, in vista delle assemblee di bilancio del 2011, la sua offensiva nei confronti di 58 Big corporations. Con buoni risultati, visto che già venti società hanno dato la propria disponibilità. Ma non Apple, l’azienda più innovativa ma anche più segreta, dove il board ha tenuto nascoste per mesi le condizioni di salute di Steve Jobs.
Non è possibile fidarsi di un sistema del genere, tuona Calpers, che nella crisi finanziaria seguita al crack di Lehman Brothers, ha visto sfumare più di 70 miliardi di dollari, il tesoro che deve assicurare la pensione a un esercito di dipendenti statali in una terra, la California, il cui bilancio pubblico è peggio di quello della Grecia. Certo, oggi il peggio a Wall Street sembra passato. Ma sarebbe un bel guaio se la lezione venisse già dimenticata. In Usa, ma non solo.
Il 2011, in Italia, porta con sé grandi novità in materia di governance e, soprattutto di assemblee societarie, in fatto di trasparenza e di partecipazione degli azionisti: sarà consentito, ad esempio, il voto a distanza con strumenti elettronici piuttosto che il diritto, per minoranze anche modeste, a chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno (basta il 2,5% del capitale) e di richiedere la convocazione dell’assemblea (il 5%), e così via.
Cresce, insomma, la possibilità di partecipazione, argomento che non va trascurato nel dibattito appena aperto sulla rappresentanza dopo la vertenza di Pomigliano e di Mirafiori. I fondi pensione possono dare un grande contributo a una visione più “laica” del confronto capitale e lavoro. Con grande profitto per quest’ultimo.