L’uscita di Sergio Marchionne e della Fiat, la successione a Emma Marcegaglia, i vari schieramenti che si stanno delineando, gli interessi contrapposti che sono in campo: è questo il quadro che rappresenta Confindustria alla vigilia di una partita che si presenta complicata e difficile. Ne parliamo con Stefano Cingolani, editorialista di diverse testate nazionali e grande osservatore di questioni economiche.



Cingolani, secondo lei, Sergio Marchionne ha veramente pensato di uscire da Confindustria per uscire dall’Italia con la Fiat?

Certo, il primo pensiero che è venuto in mente a tutti è stato quello di un passo per l’uscita della Fiat dall’Italia. L’ho scritto direttamente anch’io. Però qualche dubbio comincia a venirmi, proprio guardando bene alla “battaglia” di Confindustria. Lì ci sono diversi schieramenti, ma non c’è dubbio che la candidatura di Alberto Bombassei mi appaia proprio targata Fiat. Tanto per chiarire, Bombassei ha dichiarato di “sperare di essere il successore della Marcegaglia”, ma soprattutto nei rapporti con Fiat ha detto: “Mi auguro che, dopo un approfondimento, ci si possa chiarire e si possa rivedere questa posizione su Fiat. Se tanto mi da tanto…



Questo che cosa starebbe a significare?

Insomma, per aiutare Fiat, con una legge retroattiva (fatto incredibile), hanno fatto l’articolo 8 nella manovra. Un autentico “tappeto rosso”. Di fatto la Fiat, pur uscendo da Confindustria, mantiene rapporti con le unioni locali, non solo a Torino, ma in tutto il Paese. In più qualche miliardo di investimento lo ha fatto e lo difende. Io comincio a pensare che Marchionne abbia fatto veramente una manovra tattica e voglia ritornare in Confindustria, magari con un altro rappresentante, per far passare la linea della Fiat in Confindustria. E la linea Fiat è ben chiara: contratti aziendali, irritazione (per usare un eufemismo) verso i contratti collettivi, flessibilità a livelli americani, una concezione stessa dell’associazione che deve basarsi sul confronto sindacale, senza stare a pensare a politiche di sviluppo e via dicendo. Insomma, Marchionne, sotto una veste nuova, vuole ritornare a una Confindustria dove la presenza Fiat è predominante. Lo è stata a suo tempo e ora, malgrado il periodo di Luca Cordero di Montezemolo, questa sorta di egemonia quasi nobiliare non ce l’ha più.



Ma all’interno di Confindustria, proprio in questo momento, le acque sono abbastanza agitate e non solo per lo strappo della Fiat.

Lo credo. Ci sono le imprese pubbliche, ci sono i rappresentanti del “quarto capitalismo” che tra l’altro va molto bene, ci sono 150/160mila piccole e medie aziende, c’è il blocco del Nord-est. Ciascuno ha dei suoi interessi, spesso in conflitto tra loro e non è semplice operare una ricomposizione con un esponente che riassuma tutte queste posizioni contrastanti. Insomma, è un’associazione che attraversa una crisi di identità. Confindustria ha già passato momenti del genere, o quasi, quando si scoprì e si nominò un uomo come Guido Carli.

 

Oggi la situazione è differente, ci sono diverse candidature.

 

C’è innanzitutto la candidatura di Andrea Riello, che rappresenta il blocco del Nord-est e fa parte di un partito che si potrebbe definire anti-Fiat. Su questa linea, con qualche sfumatura, c’è anche Giorgio Squinzi, della Mapei, che ha avuto un peso determinante nella candidatura di Emma Marcegaglia. Squinzi indubbiamente è un candidato forte, ha un peso determinante nell’Assolombarda ed è un rappresentante vincente del cosiddetto “quarto capitalismo”. Ma anche lui non mi sembra affatto in accordo con la Fiat, cioè la linea che il Lingotto vuole perseguire. E la Fiat, volenti o nolenti ha un grande peso, lo ha sempre avuto. Guardate solo la preoccupazione che ha creato uscendo da Confindustria e di fatto ridimensionando anche il buon lavoro che aveva svolto Emma Marcegaglia. Con l’uscita della Fiat, la stessa Marcegaglia ha accusato un colpo.

 

Ma si parla anche di altre candidature.

 

C’è quella di Gianfelice Rocca, attuale vicepresidente, che è ben visto nel mondo delle partecipazioni statali e soprattutto è appoggiato da un personaggio come Paolo Scaroni. Non si può nemmeno dimenticare Alberto Meomartini, attuale presidente di Assolombarda. Non si potrebbe neppure definire un outsider, se si dovesse convergere su una ricomposizione degli interessi contrapposti cercando una figura intelligente e di rilievo. Insomma, una partita piuttosto complessa.

 

Torniamo un attimo alla candidatura di Squinzi, esponente di quel “quarto capitalismo”, lodato e scoperto da Fulvio Coltorti, il capo dell’Ufficio Studi di Mediobanca.

È una candidatura forte e sarebbe nel segno della continuità, non tanto per l’appoggio che gli fornirebbe Aurelio Regina, il presidente del Lazio, ma perché è la stessa Emma Marcegaglia ad appoggiarlo come candidato. Ma la partita a mio parere è complessa. Sono troppi gli interessi in contrasto e Confindustria è diventata mastodontica. Non sarà semplice arrivare a una sintesi. 

 

Un’ultima considerazione: Diego Della Valle, che scalpita, che fornisce “ricette” dalle pagine dei giornali, che dovrebbe aprire la strada in politica all’amico Luca Cordero di Montezemolo, non c’entra nulla in questa partita?

 

Mi sembra una sorta di “cavaliere” solitario. Non credo che possa pensare a questa partita come uno dei protagonisti. Al contrario di altri ha molti soldi e probabilmente ha altri interessi. Magari mira a diventare il simbolo di un capitalismo che si è fatto strada. Chissà che non pensi a diversificare ancora di più investendo di più in qualche giornale.

 

(Gianluigi Da Rold)

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