«L’Europa darà delle risposte durevoli, globali e rapide entro la fine del mese per arrivare al vertice del G-20 unita e con i problemi risolti». Cosa vi avevo detto non più tardi della scorsa settimana? L’ineffabile duo Merkel-Sarkozy non ha la minima idea di come uscire dal pantano greco – sempre più patetico, visto che miracolosamente Atene ha scoperto di avere denaro sufficiente fino a metà novembre per pensioni e stipendi, permettendo alla troika di godersi il clima mite di Atene ancora per un po’ ed evitando ulteriori e inutili esborsi all’Europa -, giocano a prendere tempo fino al 3 novembre, quando a Nizza andrà in scena la pantomima finale della presidenza di turno francese. E, nel frattempo, lasciano il neo-papà Sarkozy tranquillo di accudire il neonato e cacciare qualche miliardo per salvare Dexia, oltre a un paio di banche francesi più che traballanti.



Solo che il buon Sarkò l’anno prossimo ha le presidenziali e un eccessivo esborso pubblico per stabilizzare il sistema bancario potrebbe significare l’addio al rating AAA del Paese (ieri confermato, non a caso, da Standard&Poor’s): come dire, bye bye Eliseo. I tedeschi lo sanno e hanno capito che l’amico francese, protagonista domenica dell’ennesimo vertice con Angela Merkel a colpi di pacche sulle spalle, sotto sotto sta cercando di fregarli, utilizzando il fondo Efsf per rianimare Societe Generale, Bnp Paribas o Credite Agricole e costringendo Berlino a pagare di tasca propria la ricapitalizzazione di Deutsche Bank. Non a caso, Angela Merkel ha definito “ultima ipotesi” l’utilizzo del fondo per aiutare gli istituti europei: un fraterno altolà all’amicone.



Al termine del meeting di Berlino, Cip e Ciop hanno reso noto che proporranno delle «importanti modifiche ai Trattati europei per una maggiore integrazione dell’Eurozona. L’obiettivo è quello di avere una cooperazione più stretta e vincolante fra i Paesi membri». Belle parole. In concreto? Nulla, attendiamo Nizza nella consapevolezza che sia poco democratico l’atteggiamento di Parigi e Berlino, visto che se si parla di Trattati europei, tutti i membri dovrebbero conoscere e discutere i particolari di riforme che li riguardano. Chi pensano di essere questi due? Fanno tanto i maestrini, ma, alla fine, le banche da ricapitalizzare in fretta sono proprio francesi e tedesche: che lezioni vogliono darci, quindi? Al riguardo Sarkozy ha poi sottolineato che sulle banche esiste un «completo accordo» fra i due Paesi, mentre Merkel ha dichiarato che Berlino è pronta a fare «ciò che è necessario per ricapitalizzare gli istituti al fine di garantire il credito per l’economia». Con quali soldi, visto che si parla di 1 trilione di euro per le banche dell’area euro? Non si sa, suspence fino al G20 di Nizza.



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Quanto al fondo salva-Stati Efsf, Sarkozy ha reso noto che Francia e Germania hanno «identificato delle proposte tecniche per rafforzarne l’efficacia». Quali? Boh. E che curiosi che siete, anche voi! Quando due statisti di quel livello si incontrano sono scintille di neuroni: volete che non abbiano già concordato tutto? Un po’ di fiducia, santo cielo! Volete che quei due non sappiano ciò che fanno? Volete che non sappiano che, a oggi, solo due paesi non hanno ratificato l’espansione dell’Efsf, di fatto bloccandola? Lo sanno, lo sanno. Sono Malta e la Slovacchia, quest’ultima ben poco avvezza a dare il via libera, come conferma allo Spiegel, Richard Sulik, capo del partito di minoranza slovacco SaS, formazione che di fatto sta bloccando la ratifica. Ecco le sue parole: «La più grande minaccia all’euro è il fondo Efsf stesso. Quello attuale è niente altro che il tentativo di usare debito fresco per risolvere la crisi del debito. Non funzionerà mai.

Per quanto mi riguarda, l’argomento principale è proteggere i soldi dei contribuenti slovacchi, visto che dovremmo contribuire per la quota maggiore al fondo in termini di forza economica. È inaccettabile». Insomma, a Bratislava hanno capito perfettamente quanto in Italia si fatica ancora a intravedere: francesi e tedeschi vogliono far pagare ai partner europei il salvataggio delle loro banche, salvo poi blindare lo status dell’Efsf in modo che non abbia mai volumi di intervento e operatività necessari per schermare Italia e Spagna una volta che la Bce, molto presto, smetterà di acquistare bonds sul mercato secondario. Eh già, Francoforte sta per chiudere i rubinetti e da più parti cominciano a circolare voci decisamente sgradevoli, battute, domande, allusioni che puzzano lontano un miglio.

In principio fu Christine Lagarde, rispondendo così alla domanda se il Fmi sarebbe in grado di intervenire a sostegno di un’economia grande come l’Italia: «Abbiamo risorse disponibili». Sicuri? Io non tanto, nonostante l’attivazione del fondo di emergenza. Poi fu Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo e giovedì scorso ospite a sorpresa del consiglio direttivo della Bce, visto che normalmente a nome dell’Unione è presente il commissario per gli Affari economici e monetari, Olli Rehn: «Il fondo Efsf non potrebbe gestire nessun tipo di salvataggio dell’Italia». E da dove salta fuori questo lapsus freudiano, visto che negli ultimi due giorni tutte le istituzioni europee, ieri non ultima la Bce, hanno promosso gli sforzi del nostro Paese per uscire dall’attuale crisi? Nel profluvio trichetiano di giovedì, grazie a Dio l’ultimo consiglio direttivo dell’Eurotower guidato dallo sciagurato Jean-Claude, la sparata di Juncker è passata quasi inosservata, ma molti analisti vedono una preoccupante consequenzialità tra la scelta di non ampliare la dotazione dell’Efsf, su forte pressione dalla Germania e il fatto che, comunque, anche se espanso nei volumi, il fondo non sarebbe sufficiente a intervenire in alcun modo per un salvataggio dell’Italia.

Royal Bank of Scotland da settimane va dicendo che per porre in sicurezza Italia e Spagna, il fondo dovrebbe avere una disponibilità di 1,5-2 triliardi di euro. Meno, ad esempio, del fantomatico piano da 3mila miliardi nato dalla fervida fantasia del Financial Times ma subito smentito sia dalla Bie che dalla Commissione Ue. Insomma, per Juncker non esiste possibilità di salvare l’Italia attraverso il fondo, nonostante Trichet abbia aperto a una sua implementazione, non tramite la Bce ma attraverso i singoli Stati con azione sulla leva. ll post-Trichet è davvero già iniziato e ci porta con sé uno Juncker più realista del re che sa benissimo come la seconda ondata depressiva, quella attesa l’anno prossimo quando una messe da trilioni di bond sovrani e corporate andrà a scadenza o roll over, spazzerà via qualsiasi effetto “fixing” garantito sul breve termine dalla ricapitalizzazione delle banche e dall’implementazione del fondo Efsf da 440 miliardi di euro a 700, con la Bce intenta a pompare liquidità agli istituti europei.

Juncker sa, in cuor suo, che l’unica ricetta sarebbe far fallire la Grecia e permettere a Portogallo e Irlanda di rinegoziare haircuts sul loro debito, contestualmente facendo cadere il tabù delle banche che non possono andare in default: a quel punto, una volta che anche le azioni avranno trovato il loro floor definitivo, ripartire con un supporto comunitario massiccio. Così non sarà, però. E Juncker ha fatto presagire, tra le righe, che riporre troppe – anzi, tutte – le speranze nell’Efsf è pura follia, poiché «non potrebbe gestire nessun tipo di salvataggio dell’Italia». Una frase buttata lì che ha il gusto amaro della profezia che si autoavvera. O che, comunque, è meglio gettare sul piatto – en passant – tanto per avere la garanzia, un domani, di poter rispondere alle critiche con il più classico dei “io ve lo avevo detto…”. Tanto più che Juncker sta per abdicare alla guida dell’Eurogruppo a favore, con ogni probabilità, del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble.

Eppure no, io voglio credere a questa Europa di grandi leader e statisti, del tandem Merkozy! Nel maggio del 2010 l’Europa stava salvando la Grecia per prevenire problemi di contagio a Irlanda e Portogallo, nell’agosto dello stesso anno decise di salvare Irlanda e Portogallo e dare ancora più soldi alla Grecia per bloccare del tutto il rischio di contagio. All’inizio del 2011, l’Europa attraverso la Bce comincia a comprare bond periferici per evitare che i problemi andassero a intaccare Italia e Spagna, lo scorso 5 agosto la Bce ha cominciato a comprare Btp e Bonos affinché il problema non contagiasse le banche. Oggi, ottobre, stiamo per salvare Dexia e altre banche europee di fatto per salvare il mondo. Eddai, come fate a non avere fiducia in gente simile?! Che faranno ora, quindi?

L’Europa spenderà altri soldi per nazionalizzare o salvare un po’ di banche (a oggi il valore delle azioni e i loro movimenti non sembrano presagire una diluizione ma tant’è), l’Efsf sarà ratificato – magari con qualche “pressione” su Slovacchia e Malta, in caso non tornino a più miti consigli – e pienamente finanziato, in modo da poter acquistare ancora più debito e intervenire sull’equity e la Bce, contemporaneamente, presterà soldi alla banche senza fare troppe domande, a pioggia e per finanziare qualsiasi cosa e fronte di un pacchetto di sigarette come collaterale.

Pensate che così si risolvano i problemi? No, si fa esattamente ciò che denuncia il leader di SaS poc’anzi citato: si usa debito fresco per comprare debito vecchio, creando le condizioni della distruzione dell’euro a tutto vantaggio della banche francesi e tedesche, rianimate grazie al denaro dei contribuenti europei e dei loro governi, i quali usciranno a testa alta e con rating AAA intatto dalla crisi che nel frattempo devasterà Grecia, Portogallo, Irlanda e chissà chi altri. Tanto chi se ne importa, a quel punto Atene potrà andare tranquillamente in malora: alzate pure gli haircuts obbligazionari per i privati dal 21% anche al 40%. Che dico, al 50%! Il dinamico duo, dopo averci fatto pagare le operazioni da hedge funds dei loro istituti, riuscirà a farne pagare il prezzo a tutti, anche a chi la porcheria ellenica non l’ha mai comprata e quindi non ce l’ha cristallizzata nei bilanci. O ai contribuenti, magari con qualche giochino in stile irlandese sul debito senior delle banche.

Francia e Germania hanno capito alla perfezione la lezione contenuta nel playbook della Fed, ovvero il fatto che il problema non è dare risposte, ma dare la percezione di soluzioni. Un errore ontologico fondamentale, visto che ciò che stiamo affrontando non è basato sulla percezione, ma sulla realtà di prezzi, bilanci, manipolazioni. Per quanto il mercato darà credito alla pantomima beckettiana del Godot che arriverà a risolvere la crisi, con Vladimiro-Merkel ed Estragone-Sarkozy a menare le danze? Anche per questo, fossi nei saputelli esteri e italiani, non riderei o mi indignerei troppo per il viaggio di Berlusconi in Russia da Vladimir Putin per il suo 59mo compleanno. Arrivano tempi pesanti e avere dalla propria parte, magari avendo stretto patti chiari e garantiti, qualcuno con il monopolio del gas, riserve a go-go grazie anche al disimpegno dal mercato obbligazionario Usa e oro a garanzia delle propria economia, a me non fa troppo schifo. Da settimane la Borsa russa è sotto pesante attacco e Vladimir Putin, in cerca di rielezione e consenso perduto, potrebbe avere voglia e tornaconto di fare male a qualcuno, nel breve termine.

Le aperture del Cremlino di ieri verso il debito dell’eurozona sono solo parole? Verissimo. Quelle di Merkel e Sarkozy, invece, cosa sono? La Russia di Putin è anti-democratica? Lo è anche la Cina, ma tutti sbavano per farsi acquistare obbligazioni sovrane, lo è il Brasile dei miracoli dove ancora vigono gli squadroni della morte e prosperano le favelas, ma tutti corrono a fare affari, lo è l’India divisa in caste e marcita dalla corruzione, lo è il Sudafrica con il suo oro e il suo apartheid al contrario (certificato da Desmond Tutu, non da un boero), lo sono tutti i regimi arabi con i loro petroldollari e i fondi sovrani compratutto. E, francamente, lo sono gli Usa, dove Amanda Knox non avrebbe potuto gioire per l’appello e la scarcerazione, perché dopo il primo grado le avrebbero infilato una siringa nel braccio.

Tralascio le operazioni di turbativa monetaria e dumping della Fed o il protezionismo mascherato. Basta ipocrisie. E basta a questo direttorio franco-tedesco degno del dadaismo più surreale: qui ci si lascia le penne, se ancora non lo avete capito. A mare Francia e Germania, cerchiamo di salvarci come nazione.

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