Il Governo ieri è stato battuto alla Camera in una votazione basilare per la finanza pubblica: mica bruscolini in un momento in cui i sonar dei mercati finanziari internazionali sono pronti a lanciare pericolosi siluri verso i paesi con i conti in disordine. In Aula a votare c’era persino il Presidente del Consiglio, ma gli assenti nelle fila della maggioranza sono stati 31. I nomi di alcuni di loro hanno destato non pochi sospetti: Scajola, Tremonti (che ormai parla attraverso comunicati, l’ultimo dei quali per spiegare che non ha partecipato al voto perché stava lavorando al Decreto sviluppo), Maroni, Bossi e persino Scillipoti (che ha dichiarato che se fosse stato avvisato che il voto era così importante sarebbe rimasto a Roma).



I più maligni vedono nel risultato di ieri un avvertimento al Premier. Per fugare ogni dubbio sembra che si procederà a un nuovo voto in cui verrà posta la fiducia. Ma si è anche diffusa una voce che vorrebbe Berlusconi convinto della necessità di elezioni anticipate nella prossima primavera. Speriamo che la maggioranza risolva i suoi problemi. Auguriamocelo per non vedere lo spread Btp-Bund salire ancora, dato che l’ipotesi di un nuovo governo porta inevitabilmente con sé l’incertezza sulla reale volontà di portare avanti il percorso verso il pareggio di bilancio delineato da Tremonti. Ma speriamo anche che questa situazione caotica non diventi l’ennesima occasione per dar vita al “mercato delle vacche”. Non soltanto perché è antipatico vedere i parlamentari cambiare casacca e schieramento a seconda delle mere convenienze personali, ma perché in ballo c’è una partita importante: quella di Bankitalia.



Mentre Mario Draghi sta per assumere definitivamente la carica di Presidente della Banca centrale europea, infatti, ancora nulla si sa sul suo successore a Palazzo Koch. Non è una questione di poco conto, specialmente per l’immagine internazionale dell’Italia, che ancora una volta appare incerta, lenta e concentrata sulle logiche di potere piuttosto che dell’interesse generale del Paese. Ora, l’articolo 17 dello Statuto della Banca d’Italia dice che “la nomina del Governatore, il rinnovo del suo mandato e la revoca nei casi previsti dall’articolo 14.2 dello statuto del SEBC, sono disposti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia”.



Se ancora non si è deciso chi sarà il successore di Draghi è perché manca la delibera del Consiglio dei ministri: il Premier vorrebbe Fabrizio Saccomanni, altri preferirebbero Vittorio Grilli. Tanto per essere chiari, questi altri sono, in particolare, Tremonti e Bossi. Il primo perché Grilli è il Direttore generale del suo ministero e, dopo aver “piazzato” il suo ex Sottosegretario Giuseppe Vegas alla Consob, Tremonti metterebbe un altro uomo di fiducia in una posizione importante, occupata precedentemente da un governatore considerato “nemico”. Bossi, invece, pare farne una questione anagrafica: Grilli è nato a Milano, quindi è padano, mentre Saccomanni è cresciuto nella Roma ladrona.

Non si vuole qui entrare nel merito di quale dei due candidati sia il migliore per ricoprire la carica in palio. La questione è: con quali criteri sarà scelto il nuovo Governatore della Banca d’Italia? Bisognerà ascoltare le sirene padane per non perdere l’appoggio del Carroccio nelle elezioni di primavera o bisognerà dare un ben servito definitivo a un ministro “scomodo” che sembra aver perso anche il suo ruolo di “garante” internazionale per l’Italia? Ai posteri l’ardua sentenza.