Giulio Sapelli ha il dono di rispondere a domande su temi complessi con la capacità di cogliere la sostanza dei problemi e di indirizzare il suo interlocutore sulla pista giusta mentre continua una bagarre di dichiarazioni, controdichiarazioni, prese di posizioni, road-map e vari vertici che avvengono a livello europeo di fronte a una crisi, a una “grande contrazione”, chiamiamola come si vuole, che coinvolge tutto il mondo occidentale.



Professore, ieri il Presidente della Commissione europea, José ManuelBarroso ha tracciato una sorta di road-map per la ricapitalizzazione dellebanche. In sintesi: prima le banche devono rivolgersi ai privati, poi agliStati a cui appartengono e solo alla fine al Fondo salva-Stati. Che cosa nepensa?

Sostanzialmente il percorso mi sembra giusto. Ma occorre che sia accompagnato da altre decisioni. Innanzitutto occorre che si riduca ancora il tasso di interesse. Lo so che è già all’1,5%, ma bisogna abbassarlo ancora, altrimenti la ricapitalizzazione favorirà solo le banche. La vera questione che si deve affrontare, infatti, è evitare il credit-crunch che taglia le gambe alle Piccole e medie imprese. Rispetto comunque alla complessità della crisi non è poi detto che la sola ricapitalizzazione delle banche possa salvarci. Mi sembra incredibile che ci siano organizzazioni che aiutano i disoccupati in America che facciano richieste più sensate di quelle che si fanno in Europa.



A che cosa si riferisce?

C’è una forte richiesta da parte di queste organizzazioni di creare delle banche popolari, affinché favoriscano credito alle imprese e alle famiglie. Mi chiedo: ma è possibile che ci arrivino i disoccupati americani e non la Bce e l’Europa nel suo insieme?

A proposito di Europa, due fatti sono abbastanza eloquenti. Il primo riguarda il Parlamento della Slovacchia che prima boccia l’allargamento del Fondo salva-Stati e poi, su “pressioni” europee, raggiunge un accordo per approvarlo. Il secondo è il caso Dexia, il colosso bancario franco-belga il cui salvataggio sembra bloccato da diatribe tra valloni e fiamminghi. Che cosa si può diredi fronte a questi fatti? 



La cosa più incredibile e paradossale è che il partito che governa in Slovacchia si chiami “Libertà e solidarietà”. Certo, fatti del genere, anche se poi vengono corretti, danno la misura di quale Europa è stata costruita. Quando c’era la crescita e non la crisi, erano tutti europeisti convinti. Adesso sembra che il sentimento si stia attenuando. Anzi, per usare una metafora, bisogna leggere Manzoni e ricordare che i capponi si beccano tra loro quando sono a testa in giù. Il vero problema che emerge è che nel costruire questa Europa siamo partiti dalla coda, dalla moneta, e non dalla testa, dalla politica. Personaggi come Adenauer, De Gasperi, Schumann avevano in mente un’altra Europa. Per realizzarla avrebbero impiegato probabilmente più tempo, ma ce l’avrebbero fatta. Un’Europa invece che è basata principalmente sulla moneta rivela tutta la sua frammentazione, i suoi contrasti, le sue divisioni.

 

Il mondo politico sembra però pronto a intervenire e risolvere la situazione. Basterà questo “attivismo”?

  

Non credo. I problemi sono ancora tutti aperti. E soprattutto c’è quello più importante da affrontare, quello della riforma bancaria. Finché non si separeranno le banche commerciali da quelle d’affari, finché si terrà in piedi la cosiddetta “banca universale”, non si risolverà alcun problema di fondo. 
È qui che sta il nocciolo della questione.

 

Ci spieghi meglio.

 

La “banca universale” ha prodotto due crisi mondiali e apparentemente nessuno sembra voler cambiare la situazione. Ci ha provato in America il vecchio Paul Volcker, ma la sua proposta è stata respinta. Ci hanno provato gli inglesi, con una proposta prudente, e si sono sentiti dire dai banchieri: andiamo in America o da un’altra parte. La realtà è che c’è un oligopolio finanziario mondiale che ormai stabilisce le scelte in campo finanziario, economico e politico. Il mondo politico è subalterno a questo oligopolio finanziario mondiale. Almeno si abbia il coraggio di trovare un accordo ragionevole, altrimenti da questa situazione difficilmente se ne esce. Tutte le dichiarazioni dei politici, di tutto il mondo, forniscono speranze, suggestioni, ma al momento non risolvono alcun problema.

Professore, le chiedo in conclusione un commento sulla situazione italiana, dove una crisi politica si intreccia alla crisi economica. Uno spettacolo poco edificante, con il Governo che viene battuto in un voto sul rendiconto dello Stato.

La vicenda italiana diventa veramente difficile. C’è il precedente del Governo Goria. Ma ce ne è pure un altro, se la memoria non mi inganna, quando Aldo Moro, ministro dell’Istruzione, si vide bocciato un capitolo di spesa. In tutti i casi, non so come Silvio Berlusconi non possa salire al Quirinale a parlare con il Presidente della Repubblica. Poi ci sono questioni che vanno valutate in punta di diritto, certamente. Ma qui c’è una situazione politica che è esattamente il contrario della coesione che ci vuole, che occorre per affrontare un periodo delicato come quello che stiamo vivendo. Ma come si fa a dare un giudizio su un voto importante con il ministro dell’Economia e il quello per le Riforme che stanno fuori dall’aula? Il fatto si commenta da solo.

 

(Gianluigi Da Rold) 

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