Ma la banda larga è di destra o è di sinistra? Diciamo la verità: che domanda cretina. Eppure… eppure la polemica è in atto. Già, perché il governo in carica, che aveva esordito stanziando un miliardo di euro per estendere la banda larga nelle zone del Paese dove ancora non c’è, ha cancellato il miliardo d’investimenti originariamente annunciato e poi ridotto a 600 milioni, per destinarlo ad altre priorità rese irrinunciabili dalla crisi economico-finanziaria.
Dopo un paio d’anni di inazione, nella primavera del 2010, gli operatori telefonici “alternativi” a Telecom Italia, cioè Vodafone, Wind e Fastweb, col successivo apporto di Tiscali, annunciarono in pompa magna un piano per cablare l’Italia “con o senza Telecom”, che era in realtà, soprattutto da parte degli ultimi tre, un tentativo legittimo, ma un po’ ingenuo, di spingere il potere politico-regolatorio (alias: Governo, Parlamento e Autorità per le telecomunicazioni) a premere sull’ex monopolista per riprendere un piano di investimenti cospicuo negli importi e, soprattutto, destinato a una rete in fibra ottica che avrebbe dovuto essere aperta anche ai concorrenti e magari realizzata insieme a essi, ma ciascuno concorrendovi in proporzione alle proprie dimensioni, cioè assai meno di Telecom. Si aprì un “tavolo da Romani”, che se fosse stato una prenotazione in un ristorante per una cena tra amici si sarebbe capito, ma in materie diverse non ha mai funzionato. E infatti non funzionò neanche quella volta. E non se ne fece niente.
Vodafone proseguì con un suo piano di banda larga wireless (via radio) con minori ambizioni ma forze autonome e qualche risultato apprezzabile; Wind si avvitò in una vicenda interna tuttora aperta, tra cambio di proprietà e cambio di management, che non l’ha fermata nell’ordinaria amministrazione (anzi), ma certo l’ha ridimensionata nelle ambizioni di sviluppo, almeno per ora; Fastweb rimase in una situazione di buona, o almeno accettabile, gestione ordinaria però priva di spunti prospettici, bloccata com’era e com’è da una paradossale inchiesta giudiziaria per truffa fiscale che l’ha para-commissariata in attesa dell’ovvia e inevitabile implosione delle accuse, a danni aziendali ormai fatti e irrisarcibili.
E della banda larga italiana, che ne è stato? Quella pubblica è ufficialmente desaparecida. Lo Stato ha confiscato per altri usi “emergenziali” i fondi originariamente stanziati e poi ridotti. Ha passato la palla alle Regioni, che però a loro volta hanno risentito dei tagli e delle frattaglie della manovra anticrisi e hanno “ben altro” a cui pensare. Finché, tre mesi fa, F2i, il Fondo di investimenti nelle infrastrutture, guidato dall’ex amministratore delegato di Tim Vito Gamberale – uno che di telefonia s’intende – e partecipato dalla Cassa depositi e prestiti e dalle Fondazioni bancarie, ha comprato Metroweb.
Cos’è Metroweb? È una società milanese, nata da una costola dell’Aem alla metà degli anni Novanta e da un’intuizione assolutamente lungimirante: quella di approfittare del “piano luce” che l’azienda elettrica municipale aveva programmato a Milano, e che comportava la posa di nuovi cavidotti interrati in tutta la città dove sarebbero passati i nuovi fili elettrici, per sotterrare, negli stessi scavi e quindi negli stessi cantieri (disturbando i cittadini una volta sola), anche degli altri cavidotti, idonei a ospitare le fibre ottiche di una futura rete di telecomunicazioni ad alta velocità. Già, perché quindici anni fa, anche se Internet era ancora un embrione persino in America, quelli svegli – per esempio l’allora, e poi scomparso, amministratore delegato della Stet Ernesto Pascale – già lo sapevano che il futuro sarebbe stato della fibra ottica.
Bene, sui cavidotti di Metroweb si è poi estesa la rete di Fastweb. Prima e tuttora unica azienda italiana di telecomunicazioni ad avere centinaia di migliaia di clienti “allacciati in fibra”, che hanno cioè fibra ottica dentro casa, su un modello sperimentato con successo solo in poche altre città del mondo, come Stoccolma o Palo Alto, che sta oggi pian piano sviluppandosi ovunque, anche se con costi molto alti. Ebbene, Metroweb ha una buona redditività, perché è – di fatto – un’azienda d’infrastrutture, il cui mestiere consiste nello scavare fossati, calarvi cavidotti, passarvi cavi e “mantenere” il tutto, affittando nel frattempo i cavi alle aziende di telecomunicazioni che vogliono usarli per farvi passare i loro dati. Quindi ha una redditività di tipo “immobiliare”. Affitti a lungo termine, redditività bassa ma stabile, costi relativamente contenuti. In buona salute finanziaria.
Cos’ha pensato di fare, F2i, o meglio il suo “stregone” Gamberale: poiché si è specializzato nelle reti di pubblica utilità, ha rilevato Metroweb per gestirla al meglio e “clonarla” ovunque si possa fare guadagnandoci. Insomma, ha privatizzato un’infrastruttura di pubblica utilità. La farà solo là dove individuerà la possibilità concreta di rientrare dall’investimento, affittando i cavidotti e eventualmente i cavi posatici dentro a chi poi li gestirà (Metroweb non è un’azienda di telecomunicazioni!). Che dire? Meno male che almeno qualche privato che ci crede, nella fibra ottica, c’è rimasto! E che almeno, sussidiariamente, dove lo Stato non ha i soldi per arrivare, Metroweb li metterà.
Certo, un cablaggio con denaro pubblico sarebbe stato più “di sinistra”, perché avrebbe forse portato la fibra anche là dove ben difficilmente si svilupperà il giro d’affari privato capace di remunerare l’investimento di Metroweb. Ma sarebbe ancora più “di destra” fermare ovunque la banda larga, anche dove il mercato può pagarsela, solo perché lo Stato ha finito i soldi!
Accontentiamoci, insomma. Anche perché ci sono altri fronti su cui lo Stato potrebbe sostenere lo sviluppo dei servizi internet, dopo aver promesso e tradito l’impegno a realizzare la banda larga là dove non c’è e i privati non ce la portano: il governo, per esempio, potrebbe imitare l’Irlanda (cioè un Paese finanziariamente alquanto malconcio) che ha fortemente defiscalizzato il reddito delle web-company, proprio per sostenerne lo sviluppo.
Insomma, la banda larga che resta è privata, quindi sembrerebbe di destra; ma in realtà è di sinistra, perché è l’unica possibile, e quindi non è né di destra, né di sinistra. Un altro tram perso dal governo di centrodestra, indubbiamente: ma qui in realtà gli schieramenti non c’entrano, c’entra semmai la sensibilità culturale e l’apertura mentale a certi temi, che forse non era sufficiente…