Nella manovra estiva 2010, il Governo aveva introdotto alcune modifiche che avevano aggiornato e reso più incisivo il cosiddetto “redditometro” previsto dall’articolo 38 del D.P.R. 600/73. Si tratta del cosiddetto “accertamento sintetico” per le persone fisiche: esso è basato sulle spese effettuate che vengono considerate “indicatori della capacità contributiva”. In base a questa norma, determinate spese sono indizi del livello di reddito di chi le effettua. Se il soggetto che sostiene tali spese dichiara un reddito decisamente inferiore a quello che esse indicherebbero, esso può essere assoggettato all’accertamento sintetico. In sostanza, per l’Amministrazione Finanziaria sostenere certe spese è indicativo di un certo tenore di vita, e dunque di un certo reddito da dichiarare.



Certamente si tratta di uno strumento interessante ed utile. Esso può aiutare a recuperare base imponibile sottratta alle imposte, quando non addirittura il percepimento di proventi illeciti. Il redditometro contribuisce, inoltre, a spostare l’attenzione del fisco dalla produzione al consumo del reddito, una volta tanto non gravando sull’impresa, quanto analizzando i comportamenti di spesa dell’imprenditore e spostando dunque su di lui l’eventuale recupero delle somme evase.



Lo scorso 25 ottobre l’Agenzia delle Entrate ha presentato il nuovo redditometro, ponendo molta enfasi sull’assenza di automatismi nello strumento e sulla sua funzione soprattutto di compliance, di prevenzione del fenomeno dell’evasione. Certamente significativa è stata la sottolineatura della famiglia come “unità” a cui ricondurre la spesa, che ha la conseguenza di riconoscere al nucleo familiare un’unica capacità di spesa e di considerare i redditi di tutti i componenti. Analizzando l’elencazione delle spese indicatrici di capacità contributiva, alcune ci lasciano – però – alquanto dubbiosi. Cerchiamo di spiegare il perché. Nella presentazione dell’Agenzia delle Entrate le voci di spesa che compongono il redditometro sono considerate “indicative della capacità di spesa”. 



Ma nel nuovo redditometro sono presenti le spese per gli asili nido, la scuola per l’infanzia, l’istruzione primaria e secondaria. E le donazioni alle ONLUS e simili. A queste spese sono affiancate altre spese che, a differenza di queste, hanno una oggettiva natura accessoria: a titolo di esempio viaggi, abbonamenti a pay tv, centri benessere. Il punto che vorremmo sollevare è proprio questo: si tratta di categorie di spese non omogenee. La lista contiene, infatti,  una serie di costi che sono effettivamente distanti dal livello ordinario di vita della gente comune: e anche le voci comuni, come telefoni ed energia elettrica, probabilmente saranno utilizzate come indicatori quando assumeranno livelli di spesa, appunto, non “comune”.

Noi non crediamo che le spese per gli asili e le scuole paritarie siano – in sé ed entro un certo limite – indicatrici di un certo status reddituale. E non lo crediamo perché si tratta di spese che tante famiglie sopportano a discapito di un certo tenore di vita e non a riprova dello stesso. Mandare i figli in certe scuole, investire sulla loro educazione, è una priorità che molte famiglie decidono di perseguire, rinunciando – magari – ad altre spese, queste sì considerate opzionali.

Lo stesso si dica per le ONLUS: conosciamo tante persone per le quali il sostegno a certe realtà non profit è una priorità vera; un modo per contribuire – anche indirizzando la propria spesa – al bene comune; o per esprimere la propria gratitudine. Fa un po’ impressione che queste spese siano nella stessa categoria degli acquisti di gioielli preziosi e antiquariato … come se la beneficienza fosse una attività per signore ricche e non un modo di costruire sentito come proprio dalla gente comune.

Pur apprezzando lo strumento, occorre rivedere le voci di spesa inserite. Se lo scopo è trovare voci di spesa indicatrici di un certo status sociale, non crediamo che l’educazione dei figli ed il sostegno alle opere sociali indichino redditi evasi: indicano, invece, una certa concezione dell’uomo e della società che ci sono cari.