Io amo l’Unione europea! Giuro, senza gli euroburocrati uno non saprebbe cosa scrivere tutti i santi giorni, mentre loro sono così buoni d’animo da regalarci ogni ora un’idiozia differente e talmente sesquipedale da non necessitare nemmeno troppo sforzo da parte di chi scrive e la racconta. Grazie, grazie, grazie! Sapete qual è l’ultima? Ieri è stato il d-day dell’Eurozona, il giorno del vertice Ue che avrebbe dovuto dare risposte a due domande: ampliamento e nuovo status del fondo Efsf e decisione sugli haircuts obbligazionari per i creditori privati della Grecia. La cancellazione dell’Ecofin previsto prima del vertice vero e proprio e le necessità temporali della redazione de ilsussidiario.net non mi hanno consentito di attendere le decisioni ufficiali del meeting (cominciato dopo le 18:00), ma basandomi sulle bozze di lavoro dei negoziatori, giunte sul tavolo della discussione, posso comunque dirvi quale gioco a somma zero sia stato creato. Primo, l’ormai mitologico fondo Efsf sta diventando niente più che il veicolo strutturato che ha consentito a Enron di fare finanza creativa, fino poi a esplodere. D’altronde, si sa, certe ricette ritornano, sotto altre forme e con altri nomi, ma il succo è sempre lo stesso.



Partiamo da un excursus su profilo evolutivo della crisi. Nel 2007 vivemmo l’anno dell’individualismo, il male assoluto erano i mutui subprime. Nel 2008 abbiamo visto un primo spostamento d questa crisi individuale verso problemi correlati a livello bancario. Nel 2009 si parte con le banche in piena crisi, ma l’anno finisce con un primo assaggio di preoccupazione per i debiti sempre più insormontabili. Il 2010 è l’anno dell’inizio della crisi del debito sovrano. Quest’anno la crisi è andata fuori controllo, riportando al centro della situazione anche le banche e i soggetti individuali da cui tutto partì: un mix letale. Nessuno dei soggetti in questione ha realmente rimesso ordine nei bilanci e gli Stati hanno fatto di tutto tranne che sposare reali politiche di riordino dei conti. E adesso, grazie all’Ue, cosa dobbiamo aspettarci? Il riciclaggio degli errori passati, ovviamente spacciandoli per soluzioni nuove.



Si sa, infatti, che tutto ciò che era sbagliato, con il passare del tempo e l’accumularsi di nuove nefandezze, alla fine torna comodo perché ritrova un suo candore virginale. Quindi, perché non ripescare quella macchina geniale che era lo Special Purpose Vehicle (Spv), tramutato da Enron nella madre di tutte le garanzie fuori bilancio? Con il debito greco in deterioramento e le tensioni sui mercati che hanno contagiato anche gran parte delle banche, i 440 miliardi di euro dell’Efsf non bastano più. Anche perché sono comunque già di meno, visto che 100 andranno al secondo piano salva-Grecia e 44 a Irlanda e Portogallo, paesi già coperti da programmi di aiuti. Occorre quindi aumentarne la potenza di fuoco, ma senza investire nuove risorse, che molti paesi non vogliono accordare temendo di perdere il loro rating e senza coinvolgere la Bce, perché la Germania e l’Eurotower stessa si oppongono. Quindi, li grattiamo dai muri i soldi?



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Le ipotesi a cui si è lavorato e che ieri sono arrivate a una sintesi sono due: 1) creare uno strumento ad hoc, un ibrido tra un Spv e un Siv (Structured Investment Vehicle) che si sostanzierebbe in uno “Special purpose investment vehicle” o Spiv, per attirare gli investitori anche non europei, cioè i cosiddetti paesi emergenti o Brics; 2) dare all’Efsf la possibilità di emettere assicurazioni sui titoli dei paesi a rischio, per garantire perdite tra il 20% e il 30%. Insomma, per battere la crisi nata dalla finanza ultra-creativa, si usano le stesse ricette della finanza ultra-creativa! E, udite udite, stando ai negoziatori Ue queste due opzioni potrebbero essere combinate per giungere a una sintesi nuova, un nuovo derivato mai visto prima! Ve l’ho detto, io amo l’Unione europea! Tanto più che, non essendo completamente scemi, alcuni Brics hanno già detto bye bye all’Ue: ieri il ministro delle Finanze brasiliano, Guido Mantega, ha dichiarato che «gli Stati europei non hanno bisogno dei soldi brasiliani per comprare i bonds. Certamente il Brasile non sta considerando questa opzione». Di più, la Russia «non ha intenzione di acquistare titoli di singoli Paesi d’Europa», benchè lo abbia fatto in precedenza, anche acquistando titoli italiani e spagnoli, ha sottolineato il consigliere presidenziale Arkady Dvorkovich, specificando che Mosca sarebbe pronta ad aiutare eventualmente l’Europa ma solo tramite i meccanismi di stabilizzazione del Fondo monetario internazionale. Evvai, la B e la R di Bric sono già andate! Come dargli torto, d’altronde.

Un Siv (Structured Investment Vehicle), come l’Efsf, altro non è che un Spv con leva. Esattamente il genere di “asset”, se così vogliamo chiamarlo, che ha mandato Citigroup nei guai e, quasi quasi, all’altro mondo. Un Siv, infatti, ha un posto speciale nell’inferno delle Cdo (Collateralized Debt Obligation, vedi glossario) e, nel caso dell’Efsf, si tratta di un’assicurazione smontabile. Nell’idea malata dei regolatori Ue (altro che Goldman Sachs, questi sono davvero faustiani), infatti, l’Efsf venderebbe sì assicurazioni legate a nuove emissioni obbligazionarie ma anche smontabili e vendibili separatamente: scusate, non è esattamente un credit default swap, il mostro dei mostri, tanto da portare l’Ue la settimana scorsa a votare in favore di un bando sui naked cds sovrani? Cosa faranno ora gli euro-geni, bandiranno anche i cds sull’Efsf che, di fatto, verranno emessi dalla Bce?

La vulgata unicamente colpevolista nei confronti dei cds li vuole come un assicurazione anti-incendio stipulata però sulla casa del vicino: ovvero, un qualcosa che conviene a chi ha tutto l’interesse a bruciare un’abitazione non sua e riscuotere il premio. In questo caso, invece, è come comprare un’assicurazione anti-incendio su un casa che non ti copre in caso di incendio, ovvero non contempla risarcimento per statuto. Il tutto, a leva. Nemmeno unendo le menti più perverse della City e di Wall Street si sarebbe giunti a una soluzione del genere, davvero complimenti ai fustigatori della finanza! Veniamo alla questione dei tagli obbligazionari.

Stante il fatto ormai acclarato che il 21% stipulato a luglio all’atto del secondo salvataggio greco è troppo basso e che il Financial Times parlava di haircuts del 50-60% sul tavolo dei negoziatori Ue, ma anche che la Francia non intende cedere, occorre spostare lo sguardo verso la Bce per capire come questa faccenda potrebbe mandare a carte quarantotto i piani del direttorio formato da Cip e Ciop, nonostante un debito tutt’altro che monstre come quello greco. Perché, ad esempio, l’Eurotower, il singolo detentore più grande di debito ellenico, non ha da subito dato l’esempio accettando quel taglio ridicolo del 21%? Per Francoforte ha parlato, lo scorso 20 luglio, proprio il nostro Lorenzo Bini Smaghi, dicendo che «una ristrutturazione del debito greco sarebbe un disastro» e minacciando Sodoma e Gomorra in caso di haircuts. Ma perché? La Bce detiene 55 dei circa 350 miliardi di debito greco, ma non lo ha comprato alla pari (100%), ma, diciamo, al 70% (38,5 miliardi di euro).

Un taglio obbligazionario del 50%, quindi, ridurrebbe il valore al 50%, al costo di 7,7 miliardi di euro. E questo riguarderebbe solo la Grecia, mentre la Bce ha in pancia altri bond sovrani traballanti per il valore totale di 165 miliardi. Al valore di mercato, mark-to-market, le perdite per l’Eurotower sarebbero molto peggiori. Qual è, quindi, il problema? È che la Bce aveva in equity, alla fine del 2010, solo 5,3 miliardi di euro, quindi una leva 1-30 vista l’esposizione ad assets per 163 miliardi di euro! La situazione, alla fine dello scorso anno, era talmente pesante da costringere la Bce a chiedere alle varie banche centrali di raddoppiare la sua equity a 10,7 miliardi al 29 dicembre 2010. Peccato che non tutte le banche centrali abbiano voluto e potuto onorare la propria quota di aumento, così i pagamenti sono stati spalmati su tre anni: il primo pagamento ha visto quindi entrare in cassa solo 1,1 miliardi di euro, il resto dovrebbe entrare rispettivamente alla fine di quest’anno e del prossimo. Di più, le banche dei paesi non in area euro (con in testa la Bank of England), per statuto non sono esposte alle perdite in cui incorre la Bce, visto che non beneficiano dei suoi profitti, come ad esempio dal signoraggio. Ecco, quindi, perché le banche centrali dell’eurozona hanno dimostrato di essere un po’ “braccini” e non si sono fidate a dare tutta e subito la propria quota di aumento.

Insomma, la Bce è praticamente alla bancarotta e tra poco dovrà chiedere alle banche centrali non solo il pagamento delle due tranche che mancano, ma anche un altro aumento, in questo caso d’emergenza e in un’unica soluzione: pensate che Germania e Francia, pronte a sacrificare mezza Europa per non perdere il rating AAA, saranno disposte a squassare ancora un po’ i propri conti pubblici per tamponare la follia da hedge funds sottocapitalizzato della gestione Trichet? Come fare, quindi? Pagare, ma a fronte di concessioni verso i governi, ovvero regole meno stringenti e controlli meno scrupolosi, quindi addio anche al residuo di indipendenza e credibilità di cui l’Eurotower gode.

Capito perché c’è tanto timore di quell’haircut obbligazionario nelle stanze d’Europa? Tanto più che alla vigilia del vertice Ue, ad aggiungere un po’ di pepe alla situazione ci ha pensato il centro studi di Barclays Capital, secondo cui «non ci sono dubbi sul fatto che un haircut nozionale del 50-60% sarebbe considerato un credit event e quindi farebbe scattare le clausole dei contratti cds. Lanciare un ristrutturazione molto dura senza un adeguato backstop potrebbe essere molto rischioso da una prospettiva di stabilità finanziaria, quindi pensiamo che la Bce presterà molta attenzione a questa situazione».

Quale sarebbero i rischi immediati per la Bce di una ristrutturazione pesante che contempli haircuts drastici, oltre alle perdite già descritte a fronte di una cassa praticamente vuota? «Primo, Francoforte dovrebbe autorizzare un utilizzo maggiore dell’Ela da parte della banche greche, che già stanno utilizzando 21 miliardi presi a prestito dall’organismo bancario d’emergenza dell’Ue. Secondo, le nazioni dell’area euro dovrebbero decidere come trattare le già citate detenzioni di debito greco della Bce sotto il programma Smp e una delle possibilità è che la Bce parcheggi quel fardello, in perfetto stile bad bank, nell’Efsf, prima di lanciare la ristrutturazione ed evitando così le perdite dirette». Le quali, però, torneranno in via indiretta, come il proverbiale cane che si morde la coda.

Capito perché, ancora ieri pomeriggio, la Merkel ha imposto il suo niet a qualsiasi forma di partecipazione della Bce nell’Efsf? Potete immaginare quanto tempo ci sarebbe voluto per gettare in mare le scialuppe del Titanic, se alla guida del transatlantico ci fossero stati i leader europei?

 

P.S. E nell’attesa del vertice dei capi di governo dell’Ue, a Bruxelles hanno ingannato il tempo votando un bell’incremento del budget dell’Europarlamento per il 2012 del 5,2%. Gli eurodeputati favorevoli sono stati 431, i contrari 120 e gli astenuti 124. Quando c’è da dare il buon esempio in fatto di austerity e responsabilità, le istituzioni europee non sono seconde a nessuno.

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