L’Ue ha imposto all’Italia: (a) il raggiungimento del pareggio di bilancio entro il 2013 allo scopo di non aumentare più il debito via deficit annuali; (b) di alzare la crescita del Pil il prima possibile attraverso al rimozione dei blocchi che la frenano. Valutiamo la situazione. Le due imposizioni combinate hanno lo scopo di rendere credibile l’aspettativa che l’Italia possa sostenere e ripagare il suo enorme debito. Se tale credibilità non verrà raggiunta entro poche settimane, l’Italia sarà classificata come nazione a rischio prospettico di insolvenza e il mercato vorrà un premio crescente per comprarne i titoli di debito. La scorsa settimana tale premio ha raggiunto il 6% (4% in più di quello richiesto per comprare titoli tedeschi) avvicinandosi alla soglia di insostenibilità. Ciò ha accelerato la necessità di commissariare l’Italia da parte dell’Ue, perché con tali numeri l’Italia è già in condizioni tecniche di insolvenza anche se è perfettamente in grado di pagare gli interessi sul debito.
Il mercato, infatti, sconta nel presente le tendenze future. Se il costo del debito tende a superare la crescita del Pil in prospettiva allora l’insolvenza futura è certa e, anche se è evento remoto, il mercato trasferisce la prospettiva al calcolo nel presente. Il destino di insolvenza dell’Italia implica la dissoluzione dell’euro. Ecco perché è vera emergenza nell’Eurozona e perché l’Italia è percepita come il suo ventre molle.
Bruxelles ha elaborato due piani. Il primo consiste nel commissariamento del governo per fare le cose giuste in tempi brevi. Il secondo riguarda l’aumento dei capitali a garanzia dell’eventuale insolvenza del debito italiano nonché un’ulteriore imposizione all’Italia – al momento tenuta riservata – di ridurre consistenti aliquote di debito ogni anno (dai 50 ai 30 miliardi). Se il commissariamento non produrrà effetti sufficienti, allora si interverrà con il secondo meccanismo. Combinato con un terzo, di ultima istanza, dove la Bce, in deroga al suo statuto, comprerà titoli di debito italiano. Ma se ciò avvenisse la Germania vorrebbe uscire dall’euro, perché tale azione implicherebbe lo stampare moneta di fatto, aumentando l’inflazione. Infatti, questo modello di salvataggio può funzionare solo se l’Italia conquista credibilità riducendo a un minimo sostenibile gli altri due livelli di azione difensiva.
Come? Tremonti ha fatto un errore tecnico quando ha voluto perseguire il pareggio di bilancio via aumento delle tasse senza liberalizzazioni, cioè a scapito della crescita. Senza crescita il gettito fiscale sarà inferiore e quindi il pareggio di bilancio continuamente a rischio. Tale errore ha innescato la priorità per Bruxelles di dimostrare che l’Italia potrà fare crescita e di togliere dalle mani di Tremonti la politica economica, trasferendola direttamente a Berlusconi sotto la vigilanza del Presidente della Repubblica. Tale trasferimento implica che le misure per la crescita saranno imposte via voto di fiducia, sotto l’ombrello del Quirinale, e non potranno essere discusse in modi normali e via tempi lunghi.
La misura principale riguarda la flessibilità del mercato del lavoro, cioè la possibilità di licenziare per incentivare le imprese a investire e ad assumere, che è precondizione essenziale tecnica per la crescita. Se il governo ci riuscirà, l’Italia, che è una potenza industriale, riconquisterà immediatamente credibilità. Se il contrasto sindacale sarà troppo forte e riuscirà a bloccare le riforme di efficienza, allora l’Italia finirà come la Grecia e l’euro non resisterà. Pare ovvio segnalare quanto sia urgente una mediazione intelligente tra governo e sindacati.