Vi ricordate “I 39 scalini”, il thriller politico di John Buchan del lontano 1915 da cui sono stati tratti innumerevoli drammi, musical e film (il migliore quello di Alfred Hitchcock, nonostante contenesse molte differenze dall’originale)? Se la situazione economico-finanziaria dell’Italia non fosse terribilmente seria, le 39 domande recapitate alcuni giorni dall’Unione europea sembrerebbero avere più di un’assonanza con il “super-giallo”: nelle settimane di crisi e tensione che precedono la Prima guerra mondiale, una persona per bene si trova inaspettatamente alle prese con numerosi crimini e misfatti quasi alla sua porta di casa, se la dà a gambe levate per non diventare anche lui una vittima, quando ci si accorge che è tutto parte di un intrigo internazionale (degli Imperi Centrali per scoprire i segreti militari del Regno Unito e così fiaccarlo prima dell’entrata in guerra). Le domande “di chiarimento” sono 39 , come gli scalini. Alcuni protagonisti sono quasi costretti ad andarsene. La crisi internazionale incombe. Come sostengono diversi commentatori, l’Italia non è certo esente da errori, ma rischia di pagare anche per colpe non sue.
Le richieste di “chiarimenti” sono accompagnate da “un termine” che i giuristi chiamerebbero “perentorio”: le risposte devono essere fornite entro la sera dell’11 novembre (cioè entro ieri sera). Come ne “I 39 scalini” c’è stato, però, un colpo di scena. Il Governo in carica è verosimilmente in uscita. Di conseguenza, le risposte dovranno essere di nuovo verificate con un esecutivo di cui siamo ancora in una fase di messa a punto. Una lettura del documento, tuttavia, solleva due punti: a) il tono e b) i contenuti.
Il tono – occorre dirlo con chiarezza – non è quello che si addice al Presidente del Consiglio europeo e al Presidente della Commissione europea. Il primo è un “primus inter pares” a turno. Il secondo un funzionario internazionale, per quanto di grado elevato e con una carriera politica alle spalle. Né l’uno, né l’altro hanno titolo di trattare quasi alla stregua di un “protettorato” – quelli messi in atto nel periodo tra la Prima e la Seconda guerra mondiale – un Presidente del Consiglio (e i suoi Ministri) di uno Stato membro dell’Unione. I contenuti delineano un programma di politica economica a breve e medio termine, entrando negli aspetti di dettaglio dei singoli provvedimenti o almeno dei settori e dei comparti in cui operare.
Alla lettura delle singole “richieste di chiarimento”, ciascuna di essa appare ineccepibile. Anzi, lo è. Tuttavia, l’accento del programma è sul consolidamento dei conti pubblici – tanto deficit quanto crescita – più che sulle misure relative all’espansione dell’economia reale. In particolare, all’espansione dell’economia reale vengono dedicate poche “richieste di chiarimenti”- quelle relative all’utilizzazione dei Fondi strutturali europei (pour cause!), al mercato del lavoro, alla concorrenza, alle liberalizzazioni (limitatamente alle professioni), alla capitalizzazione delle imprese, e, in certa misura, all’ammodernamento della Pubblica amministrazione.
Se, come suggerito da numerosi commentatori, le “richieste di chiarimenti” sono la struttura di un programma di governo che dovrà essere adottato da chiunque vada a Palazzo Chigi, deve essere ben chiaro che non si tratta di una strategia di “consolidamento espansionistico della politica di bilancio” (termine alla moda da alcuni mesi), ma, invece, di una strategia tradizionale di messa in sicurezza dei conti pubblici sulla base della quale, con un pizzico di fortuna (rilancio della domanda europea e internazionale per il “made in Italy”), potrebbe successivamente arrivare la crescita. Non è necessariamente una strategia errata.
Esce in questi giorni un lavoro di Roberto Perotti (“The Austerity Myth : Gain withuot Pain?”) in cui vengono analizzati quattro casi di strategia di “consolidamento espansionista”: Danimarca e Irlanda (ambedue in regime di cambi fissi) e Finlandia e Svezia (quando anche la prima aveva cambi fluttuanti). Dallo studio risulta che unicamente in Danimarca si è avuta una crescita sostenuta (e di lungo periodo) pur in un regime di cambi fissi; gli altri o hanno deprezzato o svalutato il cambio oppure la crescita è durata “lo spazio di un mattino”. Tuttavia, si sarebbe potuto mitigarla con misure pro-crescita di lungo periodo che non compaiono nelle 39 domande.
In particolare, si è timidi in materia di produttività del lavoro, determinante principale della bassa crescita e anche dei problemi di finanza pubblica. Forse, le misure sul mercato del lavoro – “richieste di chiarimenti” nn. 17-21 – potranno favorire un po’ la crescita. Tuttavia – come documenta con ricchezza di dati e di analisi un libro Isfol che giunge in libreria il 16 novembre – in un mercato del lavoro in cui declinano i rendimenti salariali e occupazionali dell’istruzione, un’imprenditoria con bassi livelli medi d’istruzione (nel quadro Ocse), un nesso interrotto tra investimenti in istruzione e mobilità sociale, un impatto negativo dei contratti a termine sugli incentivi a investire in formazione (e quindi sulla produttività), è arduo pensare che una maggiore flessibilità sia la chiave di volta per risolvere nodi di questa portata. Quanto detto sulle “richieste di chiarimenti” nn 17-21 si applica anche ad altri capitoli.
Un invito quindi a chiunque abbia il timone della politica italiana a non accettare sic et simpliciter le 39 “richieste di chiarimento”. Ma a esaminarle criticamente, come fa il protagonista de “I 39 scalini”, per prendere ciò che c’è di buono, scartare ciò che è banale e aggiungere le misure strutturali che gli eurocrati hanno dimenticato.