Più tasse per tutti. Per alcuni è solo un timore, per altri un’ipotesi data per scontata. Il governo tecnico che Mario Monti si accinge a varare potrebbe mettere le mani nelle tasche dagli italiani. Per dare all’Europa quelle garanzie sulla tenuta dei conti pubblici che ci vengono chieste e per placare l’onda d’urto della diffidenza dei mercati. «Si tratta di misure che, se messe a punto tenendo in considerazione alcune logiche, potrebbe anche garantire il rilancio dello sviluppo», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Carlo Buratti, professore di Scienza delle Finanze presso l’Università di Padova. Le misure alle quali si riferisce, sono i provvedimenti che, secondo indiscrezioni, il governo Monti dovrà necessariamente varare per dimostrare che l’Italia è in grado di attuare un’attività sistematica, efficace e continuativa sul debito pubblico. Si tratta della patrimoniale (su patrimoni superiori a 1-1,5 milioni di euro), del ripristino dell’Ici sulla prima casa e dell’ulteriore aumento dell’Iva.



«La patrimoniale, all’estero, non è mai stata particolarmente applicata perché, di norma, non garantisce gettiti significativi, salvo che non sia applicata alle grandi fortune», spiega Buratti. «Del resto, il problema, anzitutto, è che i patrimoni sfuggono, in parte, all’accertamento. Per quelli immobiliari non ci sono problemi, mentre si verificano per quelli finanziari. Sono ben note, ad esempio, le varie strategie impiegate, come l’utilizzo di società di comodo che possano fungere da schermo per occultare possedimenti di vario tipo». Fatta questa premessa, Buratti si dice possibilista sull’efficacia di una tassazione di questo tipo. «In ogni caso, data la situazione di estrema urgenza, potrebbe rappresentare una soluzione. Specie se applicata a patrimoni di grandi dimensioni. Tuttavia, il provvedimento, di per sé, non sarebbe sufficiente per abbattere il debito. Soprattutto avrà durata di un anno soltanto. Si tratta, infatti, di capire se sarà una misura ordinaria o straordinaria».



Secondo il professore, «è una misura, più che altro, di tipi equitativo, in grado di dare un segnale. Se, invece, si volesse aumentare drasticamente il gettito, sarebbe necessario abbassare la soglia di applicazione. Al che, la faccenda si fa delicata. Si andrebbero a colpire, infatti, le persone normali, appartenenti al ceto medio. Una mossa politicamente parecchio problematica». Decisamente più doverosa, invece, la reintroduzione dell’Ici. «La richiesta proviene anzitutto – afferma – dai sindaci, che da tempo la reclamano a gran voce. Con la sua abolizione, infatti, hanno perso tre miliardi di euro. Che sono stati rimpiazzati con entrate che non garantiscono la medesima autonomia fiscale, come la modifica delle aliquote».



L’Ici, inoltre, ha un’altra decisiva valenza: «È fondamentale per responsabilizzare le amministrazioni locali. La riforma del federalismo fiscale municipale prevede importi che gravano sui cittadini non residenti e sulle imprese che spesso hanno forma societaria. Soggetti che, per lo più, infatti, non votano». Abolirla del tutto, d’altronde, non era strettamente necessario. «Già il governo Prodi aveva significativamente alleggerito l’imposta, rendendola di fatto sopportabile». Non è escluso un aumento, infine, della tanto odiata imposta sul valore aggiunto.

«L’Iva potrebbe avere un impatto sui prezzi e aumentare l’inflazione. Il che è negativo. Resta da capire se si intende sgravare qualche altro prelievo. Potrebbe essere una buona soluzione, ad esempio, aumentare l’Iva di un punto ma, contestualmente, sgravare i contributi sociali sul lavoro». Una mossa che sortirebbe un altro effetto: «Questo, infatti, consentirebbe di spingere le aziende alle assunzioni e di implementare la competitività delle produzioni, proprio quello che ci chiede l’Europa».

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