Benvenuto governo Monti! I mercati festeggiano! Partiamo da un presupposto. Solo Gad Lerner, Giulio Tremonti e quei geni di Goldman Sachs (i quali, tra le risate generali dei mercati, due settimane fa hanno ingloriosamente chiuso una scommessa long sul cross euro/dollaro a 1,55!) potevano credere alla favoletta che l’arrivo di Mario Monti portasse con sé, quasi come effetto taumaturgico, un abbassamento dello spread di 150 punti. Gli altri, quelli che ragionano, sanno che le cose non vanno così. Ma si sa, questo è il Paese dove statisti di rango parlano di riforma della legge elettorale come una delle priorità per il nuovo governo, quasi ai mercati fregasse qualcosa se gli italiani esprimono la loro preferenza con il Mattarellum o con il Porcellum (qui il problema, al limite, è che non ci si può più esprimere). L’asta di Btp di ieri ne è stata la riprova: per collocare tutti i 3 miliardi di ammontare di Btp a 5 anni, infatti, il Tesoro ha dovuto pagare il rendimento più alto dal 1997, il 6,29% dal 5,32% dell’analoga asta tenutasi nel mese di ottobre. Quasi un punto percentuale netto in più; insomma: l’effetto Monti, se davvero esiste, si è concretizzato solo nella ratio bid-to-cover, salita all’1,47% dall’1,34% precedente. Poca cosa, tanto più che anche i sassi sanno che la scadenza a 5 anni suscita da sempre domanda naturale da parte del settore bancario (per puri scopi di stato patrimoniale) e che, esattamente come per l’asta di Bot a 1 anno di giovedì scorso, la Bce ha messo in campo il “backdoor funding scheme” (anche se con importi minori, per evitare di dare troppo nell’occhio), ovvero dato mandato a banche per acquistare debito italiano con la promessa di ricomprarlo sul mercato secondario (casualmente, all’ora di pranzo dalle sale trading confermavano alla Reuters che la Bce stava comprando nostro debito). Difficile, altrimenti, spiegare il fatto che subito prima dell’asta il Btp a 5 anni pagasse un rendimento del 6,43%, portando molti investitori “reali” a chiedersi per quale motivo continuare a comprare sul mercato primario a un prezzo molto più alto di quello offerto dal mercato secondario. Tanto più che, da qui a fine anno, dobbiamo raccogliere sul mercato altri 46 miliardi di euro. Ma, ripeto, solo la malafede poteva reggere l’assunto di Mario Monti come salvatore immediato della patria, visto che ieri lo spread ha chiuso le contrattazioni in area 490 punti base, dai 440 pre-asta e nel pomeriggio sulla piattaforma Tradeweb ha toccato quota 500 punti base, mentre la Borsa ha chiuso in negativo del 2%.
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E sapete perché? Perché subito prima dell’asta del Tesoro ha parlato quello screanzato del governatore di Bundesbank, Jens Weidmann: «La politica monetaria non può e non deve risolvere i problemi di solvibilità degli Stati e delle banche. Le forze di mercato hanno un importante ruolo disciplinare, quindi l’uso di politica monetaria per necessità fiscali deve terminare». Et voilà, giù tutto. Monti non è Re Mida, mettiamocelo in testa. È però uno stimato international advisor di Goldman Sachs, quindi c’è da sperare che la sua presenza al governo porti il munifico datore di lavoro a farla finita con gli attacchi speculativi ad arte contro il nostro Paese. Anche perché, come ricorderete nei miei articoli di giugno e luglio scorso fu proprio Sigma X, la piattaforma di contrattazione privata e over-the-counter di Goldman Sachs, a far partire l’attacco ribassista contro le banche italiane e altre primarie aziende, tra cui Finmeccanica, Generali e Terna: operazioni per le quali Goldman Sachs, oltretutto, trattiene anche una percentuale che va dall’1% al 2,75% della somma scambiata. Così, dal nulla, i titoli italiani più sensibili venivano scaricati come titoli tossici: eppure lo spread non era certo 575 punti base e, di lì a poco, si sarebbe arrivati al famoso accordo del 21 luglio per il secondo salvataggio della Grecia, appuntamento che i mercati cominciarono a festeggiare (irrazionalmente) in anticipo.
E nelle sale trading, anche i cestini o le macchinette del caffé sanno che nei giorni scorsi è stata proprio Goldman Sachs a scaricare i nostri bond, facendo spaventare prima i fondi Usa (BlackRock in testa, visto che a fronte delle enormi detenzioni di debito Piigs che aveva, soltanto una svendita già compiuta giustifica il comunicato emesso ieri, in cui si invocano ristrutturazione del debito greco e haircuts per i creditori privati di debito portoghese e irlandese pari al 75-80%) e poi le banche – anche tedesche e francesi -, garantendo al nostro spread di prendere oltre 100 punti base in due giorni e lastricando la strada verso l’addio di Silvio Berlusconi. Solo una sell-off in grandissimo stile, ovvero orchestrata dagli Usa, poteva ridicolizzare in quel modo il “muro” difensivo della Bce, la quale però nei giorni di picco massimo, non comprò o comprò poco. I veri acquisti dell’Eurotower sono partiti solo da giovedì, a Cavaliere disarcionato, tanto che ieri si è scoperto che l’ammontare di bonds comprati la scorsa settimana era pari a 4,5 miliardi di euro, la metà della settimana precedente, ma tutti concentrati in due giorni per creare artificialmente l’effetto Monti (scommettete che questa settimana raddoppieranno, invece, magari proprio a partire da stamattina?). Un timing perfetto, tanto che Zerohedge – non Il Giornale – descrive l’operato della Bce con il nome di “operation kick out Silvio”, operazione caccia Silvio a calci. E chi guida la Bce? Mario Draghi, ex capo della sede londinese di Goldman Sachs. In Italia, anche il quotidiano MF, gruppo Cnbc, ha descritto la situazione: non Il Manifesto o il bollettino di Forza Nuova. E cosa ha fatto Goldman Sachs? Ha dato vita a un vecchio giochetto, il corner: con opportune vendite si schiacciano i prezzi dei Btp il più possibile per poi, un attimo prima del superamento della crisi (le dimissioni effettive di Berlusconi), farne incetta a prezzi di saldo.
Peccato che Goldman non sia l’unico squalo sul mercato e la Bce non sia (ancora) onnipotente e omniacquirente, quindi ieri molti altri soggetti hanno continuato a scaricare il nostro debito, non per calcolo ma per reale timore. Non c’è da stupirsi, Goldman “lavora” così. Speriamo, quindi, che l’arrivo a Palazzo Chigi di un suo consulente, faccia volgere l’attenzione del gigante Usa altrove (per non sapere né leggere, né scrivere, caro premier incaricato, io una telefonatina al 200 di West Street la farei comunque. Eccole il numero, in caso lo avesse scordato: 001-212-902-1000). Ma al di là dei maneggi di Goldman Sachs e soci, c’è comunque da stare tranquilli, amici miei: c’è sempre l’Efsf a difenderci dalle speculazioni della finanza cattiva! Oddio, mica tanto stando a quanto sta emergendo dopo l’asta di bond decennali emessi dall’Efsf lunedì scorso per un controvalore di 3 miliardi di euro (originariamente dovevano essere 15, poi 10, in ossequio al gigantismo di una scatola vuota che qualche genio europeo vorrebbe espandere con leva fino a 1 triliardo di euro).
Se pensate che il campione del mondo di schema Ponzi sia la Fed, visto che ha comprato obbligazioni per 3 triliardi di dollari in due anni, state pronti a ricredervi. Sapete come l’Efsf ha raggiunto il patetico risultato di onorare tutto lo stock emesso, ovvero 3 miliardi di euro? Comprandosi da solo parte delle proprie obbligazioni! Già, per non dover ammettere che l’asta non ha raggiunto il risultato (già al ribasso), l’Efsf è dovuto intervenire sul mercato e comprare centinaia di milioni di euro di propri bonds! Per l’esattezza 300 milioni, visto che la domanda reale per il nuovo debito emesso sì è fermata a 2,7 miliardi di euro scarsi. Nel pomeriggio di domenica, l’Efsf ha smentito, ma ha dovuto ammettere acquisti da parte di “altre entità dell’Unione”? Chi? La Bce? In questo caso si sarebbe tramutata automaticamente in prestatore di ultima istanza, un qualcosa che a Berlino non dovrebbe fare troppo piacere. Di certo c’è che i soldi utilizzati per quegli acquisti, il fondo salva-Stati li deve aver trovati da qualche parte (gli stessi fondi o banche europee amiche di Draghi che hanno comprato i nostri Bot a 1 anno giovedì scorsi salvo venderli all’Eurotower subito dopo?) oppure sull’apposita, mitologica pianta, visto che non uno dei paesi Brics ha la minima intenzione di cacciare un solo centesimo di euro (e i giapponesi hanno dimezzato i loro acquisti a soli 300 milioni).
Avanti, valente portavoce del fondo Efsf, fuga ogni dubbio e mostraci i dettagli dell’asta con compratori e ammontare: in due secondi puoi ridurci al silenzio e sbugiardarci, fallo! Insomma, rendimenti pagati e scarsa domanda ci dicono chiaramente che, a dispetto del bacio della pantofola fatto dalle agenzie di rating attraverso il rating AAA garantito all’Efsf, il fondo salva-Stati è già oggi trattato dagli investitori “veri” come uno strumento di credito AA+. Va beh, direte voi, oggi abbiamo i due SuperMario a difenderci, chissenefrega del fondo Efsf per acquistare eventualmente bond italiani e spagnoli! Giusto. Non la pensa esattamente così International Financing Review, secondo cui le banche europee stanno preparandosi a vendere circa un terzo delle loro detenzioni totali di debito italiano, ovvero 300 miliardi di euro, per evitare di pagare un prezzo maggiore un domani molto prossimo quando la situazione peggiorerà.
Capite da soli che una mole di delevereging tale costringerà la Bce ad acquisti mostruosi per evitare nuove impennate degli spread (anche in questo caso, cosa ne pensa frau Merkel?). Non solo: molti soggetti stanno cambiando radicalmente la loro politica di detenzione strategica del debito italiano, tagliando le operazioni di acquisto di nuovo debito (l’anno prossimo le nostre necessità di rifinanziamento superano i 300 miliardi di euro). E gli occhi ora sono tutti puntati su un soggetto: Allianz, il gruppo assicurativo tedesco che, guarda caso, voleva che l’Efsf venisse tramutato proprio in una sorta di grande assicurazione per detentori e acquirenti di debito sovrano nell’Ue. Allianz, che considera l’Italia «un secondo mercato nazionale», ha una delle esposizioni più grandi al debito italiano tra le istituzioni non del Bel Paese, qualcosa come 25,6 miliardi in bond governativi alla fine del terzo trimestre di quest’anno, il 6% di tutto il suo portafoglio del reddito fisso. Stando a un banchiere d’investimento intervistato da IFR, «è meglio vendere oggi, piuttosto che aspettare. Cioè, è meglio incorrere in perdite adesso mentre tutti aspettano, piuttosto che aspettare un default con le tasche piene». Di più, un senior banker di una banca non europea prospetta così la situazione corrente: «Il mercato è ancora liquido per chi vuole vendere. Abbiamo deciso di scaricare metà delle nostre detenzioni in una mattina e ce l’abbiamo fatta senza problemi».
E chi le ha comprate quelle obbligazioni? La Bce, la quale però non può fare nulla se si innesca la run sul debito sovrano del sud Europa, come certifica il rendimento dei titoli di Stato decennali spagnoli, salito ieri sopra il 6% per la prima volta da agosto, con lo spread tra Bonos e Bund a quota 421 punti base. In compenso, l’unico blocco di supporto per il nostro debito sono le banche italiane: stando ai dati dell’Eba dello scorso dicembre (i cambiamenti a oggi sono stati minimi), Intesa Sanpaolo detiene obbligazioni italiane per 60 miliardi di euro, Unicredit per 49 miliardi e Monte dei Paschi per 32 miliardi di euro. Corrado Passera, ad di Intesa Sanpaolo, lo ha detto chiaro: «Continueremo a investire una larga parte della nostra liquidità in debito italiano». Molto bello e patriottico, ma sempre più advisors internazionali di primarie aziende cominciano a inviare report nei quali si avanza un dubbio: ovvero che la graniticità delle detenzioni di debito italiano da parte delle banche del Bel Paese non sia da mettere in relazione con scelte strategiche, ma con il fatto che non sono in grado di dar vita rapidamente a un off-load (scarico) di detenzioni così larghe senza incorrere in pesanti perdite.
Insomma, gli investitori non solo non comprano ma vendono e le banche italiane pagano un prezzo doppio, visto che stante l’incapacità di scaricare, le richieste dell’Eba di maggior capitalizzazione (gentile omaggio di Bruxelles alle stratossiche banche di Germania e Francia) non consentono agli istituti di vendere troppo del debito sovrano che detengono. Insomma, invece di vendere, le banche italiane decuplicano e comprano! Non converrebbe, a questo punto, metterci tutti un bersaglio sulla schiena e dichiarare aperta la stagione della caccia all’Italia, la nascita della versione 2.0 del 1992?
Ma si sa, l’unico vero problema del Paese era Silvio Berlusconi, come hanno confermato Borse e spread ieri…