Lo spread tra Btp e Bund è tornato a crescere e a navigare stabilmente sopra quota 500 punti base. Nell’attuale maggioranza politica questo fatto è stato letto come una conferma che il problema dell’Italia, finita recentemente sotto il fuoco dei mercati finanziari, non era Silvio Berlusconi. Fatto sta che lo scenario torna a farsi critico, proprio come una settimana fa. «La situazione – ci dice il giornalista economico Ugo Bertone – è più che drammatica, ma la politica non c’entra niente. È vero che la destra può dire trionfante: vedete che il problema non era Berlusconi? Ma è altrettanto vero che la sinistra può rispondere: vedete che non c’era nessun complotto internazionale dei mercati per far fuori il Presidente del Consiglio? La verità è che quanto sta accadendo va oltre la nostra dimensione domestica. La nostra colpa, semmai, è stata solo quella di contribuire a far sì che questa situazione sia più pesante e immediata, anticipando l’attacco all’Italia rispetto ad altri paesi come, per esempio, la Spagna».
Da che cosa dipende allora questo ritorno al rialzo dello spread?
Più che di ritorno al rialzo dello spread, direi che si tratta di un effetto contagio: prima è stata colpita la Grecia, poi l’Italia, che ha intrapreso un percorso che potrebbe (il condizionale è d’obbligo) portare a buoni risultati. Ora il mercato ha cominciato a individuare nuovi obiettivi e il falso allarme di settimana scorsa sulla tripla A francese somiglia molto a quegli strani episodi che abbiamo vissuto in Italia tra maggio e giugno, in occasione dei grandi ribassi dei titoli bancari a Piazza Affari. Quindi il mirino si sta spostando verso la Francia, verso il Belgio e poi chissà dove andrà.
Allora la situazione che viviamo è colpa della Francia oppure della Grecia che ha fatto cominciare tutto quanto?
Inutile pensare che ci sia “il colpevole” di questa situazione. Esiste un malessere comune che colpisce tutti e non risparmia nessuno. L’Europa è un continente che oggi produce meno ricchezza di quanta ne consuma e che nel tempo diventerà il vero epicentro della crisi mondiale, come lo fu 15 anni fa l’Asia, dove si prendevano soldi in prestito a breve per investimenti a lungo termine, che ha attraversato una violentissima recessione per venirne poi fuori in maniera virtuosa. Finché non produrremo di più e consumeremo di meno, prendendo atto che siamo meno ricchi rispetto al passato, non ne verremo fuori.
Cosa può fare l’Italia per cercare di cavarsela?
Il fatto che si consumi più di quel che si produce, da noi si è tradotto in debito pubblico ed eccessiva ricchezza privata. Berlusconi aveva sottolineato che non ci sono segnali di crisi perché gli italiani viaggiano, vanno in vacanza e vanno al ristorante. Il problema è che questo avviene mentre c’è un debito pubblico che se non viene frenato porrà non pochi problemi, tanto per fare un esempio, a pagare le pensioni degli italiani. Quello che occorre, quindi, è fare in modo che parte degli italiani sia meno ricca e lo Stato lo sia un po’ di più. Questo si ottiene facendo pagare più tasse (soprattutto a chi le evade), senza dimenticare l’equità sociale. In ultima analisi, però, la situazione, come ho detto all’inizio, è determinata da forze che vanno al di là di noi.
Da questo punto di vista non si potrebbe trovare una soluzione unitaria europea?
Purtroppo ci troviamo in una situazione non facile. Se Francia e Germania non andassero al voto tra pochi mesi, forse ci sarebbe un colpo di reni, una capacità di risposta migliore. Invece, a Parigi c’è chi pensa a difendere la tripla A, ovvero le residue possibilità di restare all’Eliseo, mentre a Berlino regna la schizofrenia. Per esempio, nella stessa giornata si fanno grandi dichiarazioni di europeismo, ma poi si vota una risoluzione per chiedere che un Paese possa uscire dall’euro pur rimanendo nell’Ue. I tedeschi sanno bene che senza l’Europa la loro economia si ferma, però cercano di non pagare il conto salato di tenere in piedi l’euro, ma solo per motivi puramente elettorali.
L’Italia per quanto può reggere questi livelli di spread?
Da questo punto di vista, il test più importante riguarda l’anno prossimo, quando ci saranno 300-400 miliardi di euro di titoli di stato in scadenza da rinnovare e non si potrà fare troppo affidamento sulle famiglie, perché queste saranno chiamate anche a sostenere la liquidità delle banche, attraverso 250 miliardi di obbligazioni in scadenza. Se i prestatori internazionali, come stanno facendo in questi giorni, diranno no all’Italia, non ci restano molte alternative: o si mettono in vendita i gioielli dello Stato o si decide di prendere in considerazione l’uscita dall’euro, che porterebbe con sé un impoverimento pazzesco, oppure ci si mette sotto la tutela del Fondo monetario internazionale. In questo ultimo caso, è inutile nasconderlo, altro che manovre lacrime e sangue: si parla di condizioni durissime, da fame, per una parte della popolazione. C’è, in ogni caso, una speranza per evitare tutto questo.
Quale?
È che grazie a una grande operazione fiscale e stringendo la cinghia si possa far fronte alle nostre obbligazioni e alle nostre esigenze per il tempo che sarà necessario: un periodo che potrebbe durare alcuni mesi. Una volta superata questa fase, una volta convinti i mercati che comunque non cadremo, una volta soprattutto che gli altri paesi europei (in primis la Germania) avranno risolto i loro problemi politici, ci saranno maggiori possibilità di guarire da questa “malattia comune”.
(Lorenzo Torrisi)