I numeri della giornata vissuta ieri sui mercati finanziari appaiono come l’ennesimo bollettino di guerra dopo un lunedì già nero per l’Italia. La Borsa di Milano ha lasciato sul terreno il 6,8% con le banche che hanno fatto segnare picchi clamorosi (Intesa Sanpaolo -15,8%, Unicredit -12,44%) e lo spread Btp-Bund che ha raggiunto un nuovo record sopra quota 450 punti base (con il rendimento dei titoli di stato decennali italiani che ha superato il 6,3%). «Un vero cataclisma – è il commento di Luigi Campiglio, Docente di Politica economica alla Cattolica di Milano -, ma il vero problema dell’Italia, che i mercati stanno già anticipando, ci sarà l’anno prossimo».
Di che cosa si tratta?
Nel 2012 andrà in scadenza, e andrà rinnovata, una tranche enorme di titoli di stato, pari a circa 300 miliardi di euro. Il livello elevato dello spread fa già sì che il rinnovo del debito pubblico stia avvenendo a tassi elevati, tuttavia sopportabili perché si tratta di importi limitati. Se l’anno prossimo ci saranno scadenze più brevi e a tassi più elevati, allora la botta sul bilancio pubblico arriverà come una valanga. Noi adesso paghiamo il 4% del Pil in interessi passivi sul debito. Anche un solo punto percentuale in più vorrebbe dire 20 miliardi da far saltar fuori da qualche parte.
Facciamo un passo indietro: cosa c’è, secondo lei, dietro la brutta giornata finanziaria, in particolare dell’Italia, di ieri?
Credo che bisogna guardare a tre elementi. Il primo è il fallimento avvenuto lunedì della finanziaria americana MF Global, che è l’ottavo più grande crac dopo quello di Lehman Brothers. A quanto pare, MF Global era molto esposta verso titoli di stato europei, in particolare spagnoli, italiani e greci. Ciò sta contribuendo a ricreare quel clima di innalzamento brusco del cosiddetto “rischio controparte”: i rapporti tra istituzioni finanziarie sono tornati a essere particolarmente cauti.
Qual è invece il secondo elemento?
La notizia, arrivata come un fulmine a ciel sereno, del referendum in Grecia sugli aiuti dell’Ue. Dopo che è stato raggiunto un faticoso accordo, seppur incompleto, con un taglio del 50% sul valore nominale dei crediti in mano a banche e soggetti privati, ora tutto il piano sulla Grecia viene praticamente rimesso in discussione. L’impressione è che i mercati abbiano capito che se il referendum dovesse dare esito sfavorevole, questo potrebbe significare l’uscita della Grecia dell’euro. Cosa che, nonostante la Grecia sia un Paese piccolo, fa aumentare vertiginosamente il rischio di implosione della moneta unica.
E l’ultimo elemento?
Ci sono state molte vendite di titoli bancari e di stato italiani, nonostante dal punto di vista economico e della finanza pubblica l’Italia non sia messa così male, anche se è vero che la crescita continua a mancare. Questi tre elementi messi insieme hanno creato la situazione pesante vissuta ieri, che potrebbe ancora ripetersi (non so se con la stessa drammaticità) e che non può essere certo risolta da un Paese da solo. Una situazione che richiede qualcosa di più, in termini di risposta, rispetto alla crisi del 2008.
Ieri Berlusconi ha cercato di spiegare che la situazione critica in cui si trova l’Italia non è da imputare all’azione del governo. Lei cosa ne pensa?
La scommessa contro l’Italia ha certamente maggiori probabilità di riuscita rispetto una scommessa, per esempio, contro la Francia o la Spagna, perché le nostre prospettive di crescita appaiono più deboli. C’è bisogno di sostenere il mondo delle imprese e delle famiglie. Onestamente mi domando se dare la priorità agli intereventi sul mercato del lavoro sia veramente opportuno in questo momento. Certamente, sarebbe colpevole dimenticare che noi siamo più deboli perché arriviamo da un decennio perduto: nel 2010 il Pil pro-capite, così come i consumi e redditi sono diminuiti in Italia rispetto al 2000. Altrove non è stato così.
Quello del livello record dello spread sembra spesso un problema senza conseguenze sulla vita di tutti i giorni delle famiglie. È così?
L’aumento dello spread è veramente un problema serio, perché tutti i debiti delle famiglie sono agganciati a questo spread e inevitabilmente aumentano. Ma anche se una famiglia non è indebitata, una crescita dello spread incide, perché fa sì, ad esempio, che diminuisca il valore di bilancio delle attività delle banche, le quali, potrebbero a un certo punto aver bisogno di ricapitalizzarsi. Cosa non facile da farsi in un contesto del genere. Quindi la quadratura del bilancio si scaricherebbe inevitabilmente in una compressione del credito alle imprese, che è l’ultima cosa che oggi si dovrebbe fare. A quel punto, le difficoltà delle aziende aumenterebbero e di conseguenza anche i problemi occupazionali.
Domani a Cannes prenderà il via un G20 dedicato alla crisi dell’Eurozona. Che soluzioni auspica, anche rispetto al problema della mole di debito in scadenza che l’Italia deve affrontare l’anno prossimo?
Le soluzioni tecniche di cui ho letto per ora sui giornali sono complicate, mentre secondo me occorrono cose semplici. Bisogna mettere in sicurezza quei 300 miliardi di debito italiano da rinnovare, anche ricorrendo a manovre non ortodosse, magari trovando formule per diluirli su tre tranche: è uno di quei pochi casi in cui un po’ di ingegneria finanziaria non guasterebbe. Credo che chi ha sott’occhio la situazione e tutti i numeri che contano sappia bene che l’appuntamento in cui si fa o si disfa tutto è l’anno prossimo: l’Italia sta già annaspando dal punto di vista della crescita e se si trovasse incastrata tra scadenze brevi e tassi alti per rifinanziare il debito pubblico sarebbe davvero la fine.
(Lorenzo Torrisi)