Primo, voglio George Papandreou in ceppi al Tribunale penale dell’Aja. Non tra un anno, oggi: in manette per crimini finanziari contro l’umanità. E non mi si venga a parlare di sovranità popolare e diritto dei greci di decidere con un referendum sul secondo salvataggio del loro Paese: un anno fa sarebbe stato accettabile, addirittura giusto, ma oggi è solo una porcata visto che i cari signori greci si godono un bel taglio dei rendimenti sul loro debito del 50% senza far scattare le clausole dei contratti cds e la sesta tranche del prestito, nonostante abbiano fallito tutti gli obiettivi concordati con la troika, a differenza dell’Irlanda che paga l’1,5% in più di interessi sugli aiuti. Tanto più che, stando ai dati diffusi ieri da Herakles Polemarchakis, ex capo del dipartimento economico del governo ellenico, in Grecia ci sono più Porsche Cayenne immatricolate che contribuenti che dichiarano 50.000 euro o più di reddito l’anno. Fonte greca, non fonte Bottarelli. I tedeschi saranno certamente felici del successo della Porsche a livello di export, magari un po’ meno di dover pagare per salvare uno Stato di evasori fiscali.
La sola città di Larisa, capoluogo della regione agricola di Thessaly con 250.000 abitanti, vanta più Porsche pro capite di Londra o New York. E a Stoccarda, dove la Cayenne nasce, lo sanno e si stupiscono di questo record mondiale. Tanto più che, al netto della crisi, l’agricoltura non è certo un settore in cui fare i soldi in Grecia, visto che pesava solo per il 3,2% sul Pil nel 2009, in diminuzione dal 6,5% del 2000 e metà degli stipendi di chi lavora nel settore sono garantiti dai sussidi europei (e io pago!). Buttiamoli a mare e che diventino una colonia cinese, chissenefrega di Atene e dei suoi bilanci truccati! Vendano le Cayenne per pagare il debito e dar da mangiare ai loro figli, altro che popolo allo stremo e retorica populista di Piazza Syntagma che non si arrende!
Secondo, se è innegabile che lunedì e ieri sui mercati, azionari e obbligazionari, si è venduta l’Italia e il suo rischio sovrano, aggravato da una politica che certamente non sta offrendo risposte serie e credibili agli investitori, anche le scelte – o, meglio, le non scelte – europee hanno avuto il loro peso, fatto certificato dai tonfi che hanno interessato tutte le Borse dell’eurozona e non soltanto quella milanese. Per gli analisti di Royal Bank of Scotland, infatti, il precedente creato con il default de facto della Grecia – anche se la “base volontaria” degli haircuts non farà scattare le clausole dei credit default swaps -, un qualcosa che i regolatori Ue avevano sempre promesso di prevenire, ha portato e porterà sempre più gli investitori a “riprezzare” il debito sovrano degli Stati più a rischio.
Per Rbs, «il summit ha risolto un problema creandone un altro. Ci aspettiamo che il mercato deteriorerà e comincerà sempre di più a vedere la Bce come l’unico backstop possibile e credibile». Un problema? Quale problema? Un problema di spread. No, non pensate al differenziale tra Btp e Bund fuori controllo, di quello vi parleranno sicuramente persone più preparate e capaci di me su questo sito, io mi riferisco a un altro spread. Alla faccia del rating AAA assegnato pavlovianamente dalle agenzie di rating, infatti, il mercato ci dice che quella macchina da guerra capace di espandersi fino a 1000 miliardi di euro e difendere l’eurozona chiamata Efsf è incapace di raccogliere sul mercato 5 miliardi di euro!
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Già, nel silenzio totale dei media, infatti, il bond che verrà prezzato oggi dall’Efsf avrà un’offerta di 3 e non di 5 miliardi come prima annunciato, a causa dei timori di scarsa domanda, come hanno ammesso gli stessi responsabili. Non solo, i bond emessi non saranno a 15 anni ma a 10 anni, il tutto per cercare di attrarre le banche centrali asiatiche, solitamente poco interessate a scadenze obbligazionarie lunghe. Di più, la prezzatura del bond del fondo salva-Stati era prevista per la scorsa settimana, ma si è deciso di postporre per le cattive condizioni di mercato! Ci rendiamo conto!
Se i mercati ballano, lorsignori spostano le aste come un Tremonti qualsiasi! Già, perché se non lo sapete, per finanziare le operazioni di acquisto dei bond sovrani e di ricapitalizzazione delle banche, il fondo Efsf emette obbligazioni riservate a operatori professionali, ovvero con un taglio minimo di 50.000 euro vendibili solo a istituzioni finanziarie. Queste obbligazioni sono sul mercato e hanno un prezzo, quindi si può ricavare un tasso di rendimento esattamente come si fa per i titoli di Stato. E quale sarebbe lo yield dell’obbligazione emessa dalla macchina da guerra creata da quei geni di francesi e tedeschi, espansa a colpi di leva come una hedge fund qualsiasi? All’asta di oggi il bond dovrebbe avere un rendimento del 3,30%, 130 punti base più del Bund, il benchmark di riferimento europeo: pensate quanto il mercato crede nell’Efsf, visto che a metà settembre il rendimento del bond Efsf era al 2,60% ed era trattato solo a 70 punti base più del Bund.
Complimenti! L’era del premio senza rischio è finita, la domanda cala o si fa più esigente in termini di rendimenti, Cina e Giappone non sono compratori autistici, anzi. E quindi anche contabilizzare come già in cassa i soldi che si vorrebbero da Est per ampliare l’Efsf («la Cina non può né assolvere al ruolo di salvatore degli europei, né offrire una cura per le malattie dell’Ue. Ovviamente, sta alle nazioni europee affrontare e risolvere i loro problemi finanziari», parole e musica del presidente, Hu Jintao, prima di partire per l’Europa), appare un trucco contabile in stile Parmalat. Ma la cosa peggiore è un’altra e nelle sale trading londinesi nessuno ne fa più mistero: questo aumento del rendimento e l’ampliamento dello spread tra Efsf e Bund parla chiaramente la lingua del fatto che il mercato abbia già prezzato il downgrade del rating della Francia (cosa di cui sono dispiaciutissimo, povero Sarkozy, così saccente e ora così bisognoso di un pannolone).
Ma il problema è un altro: occorre mandare a quel paese la Germania se vogliamo sopravvivere come nazione, prima ancora che come continente (la Francia conta come il due di picche, senza il picchiatore tedesco che la difende). Già, perché a Berlino sono stati proprio bravi. Se da un lato la Germania ha infatti alzato le barricate per fare in modo che la Bce non venisse coinvolta in alcun modo nel rafforzamento e ampliamento del fondo Efsf, scatenando i timori di chi investe e provocando il terremoto obbligazionario di cui l’Italia è vittima da due giorni, dall’altro lato Berlino è tra i principali sostenitori di quell’azzardo che è la messa al bando dei credit default swaps sovrani nell’eurozona, un’eliminazione manu militari del più diffuso metodo di hedging dal rischio paese che, venerdì scorso, ha visto i fondi – speculativi ma non solo – disertare la nostra asta di Btp.
Se non posso difendermi attraverso i cds, se le clausole di default non vengono fatte scattare per volontà politica, io investitore chiedo un extra-extra-rendimento per comprare debito a rischio, visti i precedenti messi in atto dall’Unione europea. È il mercato, non la tanto vituperata speculazione: sono infatti banche commerciali e fondi pensione a chiederci il 6% sui decennali, non la City o Wall Street. E proprio l’annunciata intenzione di priorizzare la cosiddetta “rete” per salvare Italia e Spagna dal contagio, potrebbe avere da un lato innervosito ancora di più i mercati – visti i fallimenti finora registrati – e dall’altro fatto prezzare agli investitori il rischio greco che incombe sul dimenticato Portogallo.
È infatti di domenica la notizia che anche Lisbona proporrà aggiustamenti al programma di aiuti finanziari accordato da Unione europea e Fmi per adeguarlo al nuovo contesto economico. Dopo l’Irlanda che chiede tassi più bassi e tempi più lunghi per ripagare il credito, ora tocca a Lisbona. La quale, per rispettare il suo impegno a ridurre il deficit al 4,5% del Pil a fine 2012, ha già presentato per l’anno prossimo un piano draconiano che va a inserirsi in un contesto di rallentamento economico, con una recessione stimata al 2,8% del Pil nel 2012, un tasso di disoccupazione al 13,4% e il deficit di conto corrente all’8% del Pil. Ma non solo. Dati ufficiali della Bce dimostrano che i depositi reali di massa monetaria M1, ovvero contanti e conti correnti, sono crollati a un tasso annualizzato del 21% negli ultimi sei mesi, con una violenta contrazione nel mese di settembre, mentre la Spagna ha conosciuto un calo dell’8,4%.
Ieri in Portogallo è stato proclamato il primo sciopero generale, la stessa strada, ripida e veloce, che ha portato al default greco. Ma se salta Lisbona, un minuto dopo si accoda la Spagna, esposta pesantemente sul debito lusitano. A quel punto, nessuna “rete” sarà a maglie sufficientemente strette da evitare il contagio. Eh già! Non so voi, ma io comincio a pensare che all’Ue lo facciano apposta a non azzeccarne una e sbagliare sempre obiettivi e tempi, forse perché l’Ue non è altro che una succursale della Bundesbank. Il vertice europeo della settimana scorsa doveva infatti essere risolutivo: oggi, a pochi giorni di distanza, stiamo già caricando di queste stesse caratteristiche il G20 di domani e dopodomani a Cannes. Dove, pare, Ue e Fmi presenteranno un piano che dia vita a una rete di salvataggio per Italia e Spagna che contempli l’intervento dei Brics (dico pare perché una mezza smentita a questa ipotesi è giunta domenica dalla… Commissione europea. Lo so, sembra un film dei Monthy Phyton ma è la realtà!), i paesi emergenti che non si fidano di quel derivato al cubo che è l’Efsf e non metteranno mai mano al portafoglio senza il cappello – e i fondi di garanzia – del Fondo monetario.
Per Simon Ward della Henderson Global Investors, «l’unica cosa da fare, immediatamente, è un taglio dei tassi d’interesse da parte della Bce e, contemporaneamente, un piano di quantitative easing in stile Fed da parte dell’Eurotower per un importo pari almeno al 10% del Pil dell’eurozona». Questa l’unica via, questa la grande sfida che attende Mario Draghi, da ieri ufficialmente alle redini dell’Eurotower. O si salva la Germania con i suoi interessi o l’intera eurozona. Con tutte le colpe dei nostri politici e i guai del nostro Paese, forse è giunta l’ora di dire a Berlino che ha già usufruito per un decennio del suo surplus commerciale a spese della competitività del sud Europa, messa in ginocchio da un euro troppo forte, creato su misura del vecchio marco e con tassi dettati dalla Bundesbank. Cannes potrebbe essere l’occasione per farlo. Ci sarà il coraggio e la volontà di farlo?
Sicuramente no, ma una cosa voglio dirla. L’altro giorno il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, ha detto che «non si può salvare l’Italia in Germania». Spiacente ministro, siete voi ad aver sfruttato per dieci anni un’Unione fatta su misura, condannando all’inferno della perdita di competitività e dell’euro forte i cosiddetti Piigs. Se c’è qualcuno che deve vergognarsi e sentirsi un parassita, questo risiede a Berlino, non a Milano o Roma.