Lo Stato deve far cassa, e farla al più presto. E’ questa una delle priorità del governo tecnico guidato da Mario Monti allo scopo di convincere i mercati del fatto che il nostro Paese è in grado di continuare a onorare il proprio debito. A tale scopo, uno dei meccanismi individuati e dati, ormai, per ineludibili, è quello di dar vita ad una massiccia operazione di privatizzazioni. Tuttavia, sul tavolo delle ipotesi, spunta anche la golden share. Si tratta di quell’istituto giuridico che consente ad uno Stato di continuare a mantenere poteri speciali all’interno delle aziende dismesse. Sia che si tratti di privatizzazioni complete che parziali. «Si tratta di una misura assolutamente auspicabile», afferma, interpellato da ilSussidiario.net Gaetano Troina, professore di Economia aziendale presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Che ci tiene, anzitutto, a fare alcune sottolineature. «Le privatizzazioni vanno distinte in due tipi.
Nel primo caso, lo statuto dell’azienda viene modificato: diventa privata sul piano giuridico, ma il soggetto economico resta sempre il medesimo, ovvero l’ente locale o statale di riferimento. Esempi di aziende di questo genere sono l’Eni, l’Enel o l’Acea. Sono giuridicamente private, ma la nomina degli amministratori di maggioranza continua ad essere in mano all’ente pubblico retrostante». Nel secondo caso, si ha un processo, dal punto di vista della privatizzazione, di maggiore sostanza: «lo Stato o l’ente pubblico si spogliano completamente anche della propria veste di soggetti economici e cedono tutte le proprie quote al compratore; per cui, l’azienda diventa privata a tutti gli effetti». Una pratica del genere pone delle questioni. «Spesso, tali aziende rappresentano una ricchezza che produce profitti che incrementano la massa delle entrate dello Stato e, in teoria, diminuiscono l’ammontare della pressione fiscale». Il privarsi di queste entrate, quindi, va messo in conto. «Lo Stato non può accontentarsi dell’introito della vendita, ma deve prendere in considerazione anche il diritto di maggioranza che cede al nuovo proprietario».
C’è un’altra considerazione da fare: «non di rado, si tratta di aziende che ricoprono una grande importanza strategica per il Paese. Il fatto, quindi, che allo Stato possano continuare ad essere garantiti alcuni poteri è giusto. Sarebbe ancora più facile, tuttavia, se mantenesse, all’interno delle aziende che intende vendere, uno zoccolo duro a livello di partecipazione». Sta di fatto che il ricavo derivante da tutta l’operazione sarà da utilizzare ad un unico scopo: «tutte le risorse ottenute dovranno essere utilizzate per la riduzione del debito pubblico; se saranno disperse in altre finalità, ci saremo venduti i gioielli di famiglia inutilmente».