Uno strappo epocale, conseguenza ineluttabile dell’ancor più epocale scelta che l’Amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, assunse quando decise che, dopo decenni di felice convivenza, il Lingotto avrebbe lasciato Confindustria. E così, ha annunciato la disdetta di tutti gli accordi sindacali e di tutte le prassi collettive in atto in tutti i comparti dell’azienda; la consumazione di un atto formale dal significato sostanziale altissimo. Un’occasione, per alcuni, per fare di necessità virtù e cogliere la palla al balzo, auspicando che si determinerà, per i lavoratori, un miglioramento delle proprie condizioni; una grave imposizione, e un precedente pericoloso per altri. Per la Fiom, in particolare, di cui abbiamo intervistato Giorgio Airaudo, segretario nazionale e responsabile del settore auto.



Ve l’aspettavate una decisione del genere?

La notizia era abbastanza attesa. Abbiamo sempre preso sul serio l’Amministratore delegato della Fiat. E sapevamo che Pomigliano non rappresentava un caso isolato, uno stabilimento da “rieducare”, ma una prova generale di un nuovo modello da applicare.

Quali saranno le conseguenze immediate dell’applicazione di un tale modello?



La Fiat vuole uscire dal contratto nazionale del lavoro. E, in questo momento di crisi, è un grave errore. Significa rendere i lavoratori più deboli, renderli più soli. Si tratta di un precedente gravissimo. Perché qualunque altra azienda potrebbe seguirne l’esempio. Non si darà, inoltre, la possibilità ai lavoratori di scegliersi il sindacato. perché potranno iscriversi unicamente a quelli che hanno sottoscritto le intese aziendali. Non si potrà votare, infine, i propri rappresentanti, perché saranno nominati dall’alto, dalle segreterie, in una sorta di “Porcellum” aziendale.



Come intendete reagire?

Si tratta di scelte molto gravi contro le quali ci mobiliteremo con ogni mezzo a nostra disposizione. Non escludiamo lo sciopero, ma di questo ne discuteremo con tutti i nostri rappresentanti e con i lavoratori.

Vi aspettate un intervento del Governo su questa vicenda?

Crediamo che l’esecutivo dovrà chiedere conto alla Fiat dei suoi impegni. Tutte le mosse dell’azienda spaventano i lavoratori  e dividono i sindacati;  e non è chiaro se servano a qualcosa. A oggi, infatti, gli investimenti, in Italia, sono incerti e in ritardo; non sappiamo quali prodotti si intendono realizzare e vendere. Sarebbe nell’interesse del Paese che l’esecutivo sapesse quale contributo alla crescita intenda dare Fiat.

Cosa chiedete, invece, a Fiat?

Ribadiamo che è sbagliato uscire dal contratto nazionale, e che i metalmeccanici non lo meritano. Vogliamo, inoltre, sapere quando i lavoratori in cassa integrazione – che sta falcidiando i loro redditi – saranno richiamati; e in cosa consiste il suo piano industriale. Detto questo, se realmente ci fosse lavoro, discussioni su turni, maggiore utilizzazioni degli impianti e straordinari si sappia che la Fiom non le ha mai negate a nessuno. Sta di fatto che, da quando si è iniziato a parlare di lavorare di più, gli operai Fiat stanno lavorando di meno.

Cosa intende dire?

Quando Marchionne ha annunciato il piano Fabbrica Italia si è liberato di uno stabilimento in Emilia, ha chiuso quello di Valle Ufita, degli autobus, e si prepara a liberarsi di quello di Termini Imerese.  

Gli altri sindacati hanno annunciato l’intenzione di sedersi attorno a un tavolo per siglare un nuovo contratto. Voi cosa farete?

Anzitutto, occorre sgomberare il campo dalle ipocrisie: la Fiat non convocherà la trattativa per dar vita a un nuovo contratto. Ma per applicare il modello Pomigliano a tutti gli altri stabilimenti. Del resto, va ricordato che, anche allora, nello stabilimento campano non ci fu alcuna contrattazione, ma un’imposizione. Alla quale alcuni si sono opposti, altri l’anno subita.

Gli altri sindacati, secondo lei,  hanno subito la decisione?

Diciamo che hanno deciso liberamente di sottostare alle decisioni della Fiat.

Bruno Vitali (Fim), su queste pagine, ha affermato che la disdetta potrebbe rivelarsi un’occasione per migliorare le condizioni dei lavoratori.

Giustamente, ha usato il condizionale. A oggi, non c’è stata una sola richiesta sindacale che a Pomigliano o a Mirafiori sia stata accolta.

Quindi, se convocati vi presenterete o no?

Se si aprirà un negoziato, negozieremo, se ci sarà un ultimatum, lo respingeremo.

Quali margini di trattativa giudicate accettabili?

Si può discutere su tutto quello che non rappresenti una limitazione dei diritti e delle libertà fondamentali. Gli operai non hanno bisogno di rieducazione. Sono quelli che più di tutti stanno pagando il conto della crisi e del debito pubblico. 

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