I dati comunicati da Eurostat dimostrano che a settembre i nuovi ordini industriali nella zona dell’euro sono calati del 6,4% rispetto al mese precedente, quando invece avevano registrato un aumento dell’1,4%. Sempre a settembre, l’Unione Europea a 27 ha fatto registrare una contrazione del 2,3%, quando in agosto la diminuzione era stata dello 0,3%. L’Italia si dimostra il fanalino di coda con il più alto calo di ordini, pari al 9,2%. I nuovi ordini risultano invece in crescita rispetto al settembre dell’anno scorso: la zona euro ha infatti registrato un +1,6% mentre la Ue-27 un +2,3%. Escludendo i settori navale, ferroviario e aerospaziale, per la loro elevata volatilità, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, i nuovi ordini sono aumentati del 2,5% nella zona euro e del 3,5% nella Ue-27. Tornando al settembre 2011 i beni di capitale sono calati del 6,8% rispetto ad agosto nella zona euro e del 2,1% in tutta l’Unione europea, mentre i beni intermedi sono diminuiti rispettivamente del 3,2% e del 2,1%. I beni durevoli sono calati dello 0,6% nella zona euro e aumentati dell’1,1% nella Ue-27, mentre i beni di consumo non durevole hanno registrato una contrazione del 2% in entrambe le aree. Oltre che in Italia, le diminuzioni più forti tra gli stati membri sono state registrate in Estonia (-9,1%), Francia (-6,2%), Spagna (-5,3%) e Germania (-4,4%), mentre gli aumenti più importanti sono stati registrati in Danimarca (+14%), Lettonia (+13,1%), Polonia (+5,1%) e Repubblica ceca (+4,8%). IlSussidiario.net ha analizzato la questione con Giovanni Marseguerra, professore di Economia politica all’Università Cattolica di Milano: «I dati che fornisce Eurostat riguardo al calo degli ordini sono estremamente preoccupanti: per la zona Euro si tratta della caduta più pesante dal dicembre 2008. Ci troviamo dunque di fronte al peggior risultato da quasi tre anni. Inoltre, il calo è anche peggiore delle attese degli analisti, che erano per una flessione intorno ai due punti e mezzo percentuali. Per quanto riguarda poi l’Italia, il risultato è particolarmente negativo perché, con una diminuzione del 9,2%, è il Paese che registra il calo più consistente».



Professore, perché all’andamento degli ordini viene attribuita una importanza così rilevante?

Il dato relativo agli ordini delle imprese è molto importante perché si tratta di un dato che si proietta in avanti e dunque misura la fiducia verso il futuro. Il fatto che gli ordini siano così in flessione significa che c’è poca fiducia relativamente alle prospettive future. Non solo: con questi dati sugli ordini, si sta prefigurando in modo sempre più concreto la possibilità di un nostro rientro in una fase recessiva. Se si guardano infatti i dati relativi al terzo trimestre 2011 (rispetto al trimestre precedente), per tutta Eurolandia la crescita dovrebbe attestarsi ad un misero 0,2% che, in attesa del dato ufficiale del nostro Paese, sembra compatibile con una flessione del nostro Pil dello 0,2%. Se ora inseriamo in questo quadro a tinte fosche il dato di oggi sugli ordini, che si rifletterà sul risultato del quarto trimestre 2011, diventa plausibile che un dato negativo del terzo trimestre si combini a un dato altrettanto (se non più) negativo del quarto trimestre, e allora tecnicamente per noi sarebbe recessione. Con il rischio che poi la recessione si espanda a tutta la zona euro.



Ci sono altre ragioni che rendono questi dati particolarmente preoccupanti per l’Italia?

C’è in effetti un altro motivo per cui il dato sugli ordini è per noi particolarmente allarmante. Come tutti sappiamo, uno dei punti più rilevanti dell’azione politica che aspetta il nuovo Governo Monti consiste nella necessità di rimettere in ordine il nostro bilancio pubblico, ed è chiaro che la possibilità di raggiungere il pareggio di bilancio è molto influenzata dalla crescita che avverrà nei prossimi anni. Secondo alcune recenti analisi, se nel triennio 2012-2014 riusciremo a conseguire una crescita media dello 0,6%, ai rendimenti attuali il rapporto debito/Pil dovrebbe abbassarsi di 3,9 punti percentuali. Invece, in caso di crescita zero, aumenterebbe di quasi tre punti percentuali. Se veramente si arrivasse a una situazione di recessione, anche le prospettive di risanamento sarebbero molto difficili e il sentiero, già impervio, in cui si sta muovendo il Governo Monti diventerebbe ancora più stretto.



Dunque la prospettiva è quella di una crisi  destinata ad acuirsi?

Speriamo di no. Non c’è dubbio però che la vera fonte di incertezza per l’economia globale oggi risiede nella difficoltà a capire la durata e la profondità del rallentamento ciclico in cui ci troviamo. Potrebbe trattarsi di un indebolimento congiunturale di breve durata causato da fattori temporanei quali l’aumento dei prezzi dell’energia, il rincaro del petrolio ad esempio. Ma la fase di debolezza congiunturale potrebbe protrarsi nel tempo sotto l’effetto di politiche di bilancio restrittive accompagnate da ulteriori turbolenze finanziarie. E purtroppo  è proprio quest’ultimo lo scenario che, giorno dopo giorno e dato dopo dato, sembra diventare sempre più realistico.

 

(Claudio Perlini)