La Germania sta imponendo la seguente eurosoluzione: (a) revisione accelerata dei trattati europei per aumentare il controllo esterno dei bilanci pubblici nazionali vincolandoli a un obbligo assoluto al pareggio; (b) solo dopo il successo di questa azione Berlino sarebbe disposta a valutare l’emissione di garanzie paneuropee per il debito delle euronazioni. Se questo è il piano, e lo sapremo dopo l’eurosummit del 9 dicembre, c’è un problema. Il mercato sta fuggendo dall’euro. Le banche di tutto il mondo si stanno liberando dai titoli di debito in euro, anche quelli tedeschi. Perfino i fondi pensione, che sono gli attori finanziari meno speculativi e pazienti in assoluto, stanno fuggendo in massa dall’euro. Sui giornali cominciano a filtrare i piani d’emergenza delle banche internazionali nel caso l’euro si dissolvesse.
Da un lato, la fine dell’euro è ancora improbabile, dall’altro la probabilità sta crescendo perché il deflusso non contenuto da risposte forti si autoalimenta a spirale. Il mercato vuole essere sicuro che la moneta sia garantita da due pilastri: (a) una Bce che possa comprare i titoli di debito in modi illimitati, cioè una Banca centrale che abbia la funzione di prestatore di ultima istanza; (b) un governo unico dell’economia che porti a una politica economica confederale finalizzata a bilanciare gli squilibri entro l’Eurozona e una conversione dei debiti nazionali in un unico debito integrato, cioè garantito da tutti. In sintesi, vuole una scelta di buon senso realistico: non è possibile una moneta unica senza un governo unico e senza una garanzia certa.
L’architettura attuale dell’euro, infatti, non è sostenibile. Per esempio, l’Italia ha mantenuto la sovranità sul suo debito, ma l’ha ceduta sui mezzi per ripagarlo (moneta nazionale, cambio, bilancio pubblico). O torna alla sovranità monetaria o riceve garanzie europee o cadrà nell’insolvenza e impoverimento. Così ragiona il mercato e lo fa mirando prima ai debiti più elevati come il nostro, ma, vedendo la mancanza di garanzie europee, poi continua con tutti gli altri, disertando le aste di rifinanziamento o pretendendo un premio di rischio insostenibile per parteciparvi.
Il punto: il progetto detto sopra imposto dalla Germania è troppo lento e incompleto per soddisfare i requisiti del mercato. Inoltre, è troppo calibrato su una logica interna tedesca a scapito dell’interesse europeo. Merkel, evidentemente, vuole arrivare alle elezioni politiche del 2013 mostrando all’elettorato che la Germania non ha ceduto di un millimetro sui criteri tedeschi: niente inflazione, niente soldi germanici a garanzia di altri, prima la disciplina e solo poi la salvezza.
Ma con questi criteri è difficile che l’euro e il suo sistema bancario possano resistere al deflusso nel 2012. Infatti nell’Eurozona c’è già crisi di liquidità. Forse Merkel aspetta che la crisi sia più evidente per “mollare” senza perdere consenso interno. Ma, se così, è un gioco pericoloso, soprattutto, per l’Italia.
Il governo Monti sta preparando il piano di riordinamento e questo sarà fattibile. Ma se intorno all’Italia stessa l’euro cede, tale sforzo sarà vanificato. Quindi Roma, per autotutela, dovrebbe fare due azioni. Rivolgersi subito al Fondo monetario internazionale affinché sostenga nelle aste il rifinanziamento del suo debito (290 miliardi nel 2012). La buona notizia è che il Fmi è pronto a farlo con procedure attivabili in due giorni (per un volume di 90 miliardi all’anno, estendibili). Riservatamente, per non generare panico, predisporre un piano di eventuale ritorno alla sovranità monetaria in un solo giorno.