La riunione straordinaria del Consiglio dei ministri finisce a tarda sera con un rebus che sta tra il grottesco e l’angoscioso: qual è il documento che il governo italiano porta al G20 di Cannes? Ricerca vana, perché poco dopo le undici di sera esce un comunicato del Governo in cui si parla di un maxiemendamento, ma non si parla del contenuto di questo maxiemendamento. Si sa solamente che non ci sono provvedimenti che riguardano le pensioni e i cosiddetti licenziamenti facili. Secondo indiscrezioni si parlerebbe di infrastrutture e di semplificazioni. Nelle trasmissioni televisive che, quasi in diretta, si occupano della riunione del Governo si fanno letteralmente i salti mortali per interpretare le possibili misure dell’esecutivo.
Ma nella grande confusione dei talk show televisivi, salta fuori che la base di partenza, anche epurata della questione pensioni e maggiore flessibilità (o licenziamenti facili), resta la famosa “lettera di intenti” portata a Bruxelles al summit europeo, che non sembra aver avuto un grande appeal sui mercati, visti i valori a cui è arrivato lo spread tra Bpt e Bund e dato il tonfo delle Borse di martedì e della giornta problematica di lunedì.
Il professor Ugo Arrigo, docente di Scienza delle finanze alla Bicocca di Milano, sembra quasi imbarazzato di fronte non solo alla confusione politica, ma anche alle ipotesi di notizie che filtrano da Palazzo Chigi.



Infrastrutture e semplificazioni, se sono dati veri, che cosa possono rappresentare?

Mi sembrano provvedimenti lunghissimi, biblici per la loro attuazione. Penso che al G20 e in Europa si aspettino cose un po’ più rapide, immediate.

Scusi professor Arrigo, quando conosceremo i capitoli del maxiemendamento potremo magari dare un giudizio più ragionato e potremo vedere che impatto avranno sia a livello internazionale, sia soprattutto sui mercati. Allora facciamo una sorta di esercitazione. Proviamo a evidenziare almeno tre elementi, tre fattori che potrebbero dare dell’Italia l’immagine di un Paese che vuole cambiare veramente e che vuole diventare credibile per le sue riforme, cercando di risanare i suoi conti pubblici e pensando di rilanciare la crescita del Paese.



Parto da questa considerazione. La spesa pubblica italiana è fuori linea rispetto ad altri paesi per due motivi principalmente. Il primo riguarda gli interessi che paghiamo sul debito e su questo non possiamo farci proprio nulla.
Il secondo riguarda le pensioni. O cominciamo a riformare il sistema attuale adottando il sistema contributivo, partendo dalle pensioni di anzianità, oppure è difficile uscire da questo empasse.
Noi alla fine dovremmo fare solo quello che gli svedesi hanno fatto negli anni Novanta, adottando il sistema contributivo. Che funziona in uno dei Paesi che è notoriamente molto attento alla tutela dei cittadini. Credo che questa sia un riforma che potrebbe portarci maggior credito internazionale.



Veniamo a un altro punto, a un altro fattore che potrebbe facilitare la nostra credibilità, professor Arrigo.

Penso alle privatizzazioni, ma non solo a quelle degli enti locali, anche a quelle nazionali.

Ma ci è rimasto ben poco.

Ci sono le Poste, ci sono le Ferrovie. Le reti ferroviarie non si possono vendere, ma i treni si. E questo accade in altri Paesi, con un salto positivo della qualità dei servizi. Sulle Poste forse non c’è bisogno di una completa privatizzazione, ma basterebbe mettere sul mercato alcuni settori delle Poste. 
Io in linea di principio penso che è sempre meglio una cattiva privatizzazione, che una non privatizzazione.

Quello che è successo negli anni Novanta, in certi casi, è parsa una svendita e in alcuni casi un arricchimento per pochi noti.

Questo è vero. Ma per ovviare a quelle cose accadute si può creare un Ente indipendente, così come è avvenuto in Germania dopo l’unificazione tedesca per privatizzare le industrie statali dell’Est. Questo Ente le ha valutate e le ha messe sul mercato, di fatto privatizzando ben 14mila aziende. 
Io avrei poi una proposta un po’ provocatoria: quella di mettere sul mercato i primi due canali della Rai. Sarebbe un vero segno di discontinuità, sarebbe come dire a un vecchia signora che è venuto purtroppo il momento di vendere alcuni gioielli che le sono più cari.

Ha anche una terza proposta professore?

Sulla scia delle privatizzazioni affiderei la spesa sanitaria a una autorità indipendente, senza alcuna tutela politica, completamente depoliticizzata. Non parlo di privatizzazione, ma di gestione indipendente che dovrebbe destinare i servizi. Introdurrei anche nel settore pubblico dei fattori di concorrenza. 
L’Italia non ama la concorrenza neppure nel settore privato, ma qui ci vuole una nuova legge dell’Antitrust che favorica la concorrenza. E i criteri di concorrenza valgono anche per il settore pubblico. Noi purtroppo confondiamo il pubblico con lo statale. Non è così.

 

(Gianluigi Da Rold)

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