L’aumento e la reintroduzione di svariate imposte non sarà l’unico strumento che il governo Monti adotterà per dare ai mercati e alle istituzioni europei quei segnali di fiducia richiesti per dimostrare la nostra capacità di raggiungere il pareggio di bilancio. È allo studio anche la messa a punto di uno sgravio della tassazione sul lavoro. Che, tuttavia, sarà finanziata da un aumento dell’Iva. L’ipotesi è di incrementare quella al 21% di uno o due punti. Nel primo caso, è previsto un maggiore gettito di 4,4 miliardi di euro; nel secondo, di 8,8. «Tutto ciò, ovviamente, di per sé non è sufficiente. Occorrono anche manovre sulla spesa e sul fronte finanziario. Sta di fatto che si tratta di un manovra corretta e auspicabile», commenta, interpellato da ilSussidiario.net, Gilberto Muraro, professore di Scienza delle Finanze presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova. Muraro ci spiega l’obiettivo e gli effetti di una misura del genere: «Si configura con una finalità legata alla crescita, non al risanamento per il bilancio, essendo compensativa. Da un lato si aumenta l’Iva, dall’altro si diminuisce il costo del lavoro. Significa che il saldo, in bilancio, nell’immediato, è uguale a zero. Per cui, le risorse per il risanamento saranno reperite mettendo in campo altre misure, relative alla spesa e al carico fiscale».
Fatte le dovute premesse, ecco cosa comporterà l’iniziativa dell’esecutivo tecnico: «La manovra stimolerà la crescita perché darà vita a quella svalutazione indiretta (diretta non sarebbe possibile, dal momento che c’è l’euro) opportuna per rilanciare le esportazioni. Che già avevano ripreso e promettono di essere in questa, come in altre occasioni storiche, il cavallo in grado di trainare la ripresa». Perché l’effetto prodotto sia, effettivamente, la crescita, è necessario ribadire alcuni concetti; qualcuno, infatti, potrebbe pensare che lo sgravio sul costo del lavoro possa servire a rendere le buste paga più pesanti. Ma non è così: «Dovrà andare a beneficio – dice Muraro – dell’impresa. L’azienda che esporta, ad esempio, si troverebbe ad avere meno costi e a essere più competitiva sul mercato internazionale. Se vogliamo maggiore occupazione, infatti, occorre puntare sul rilancio e sulla ripresa; l’incremento del lavoro, è una conseguenza». In tal senso, un’altra mossa efficace potrebbe essere quella di «sgravare gli utili reinvestiti. A quel punto, l’impresa competitiva, dovendo aumentare la propria operatività, tenderà ad assumere. Del resto, quella che non ha prospettive di vendere con profitto ciò che produce, non aumenterà mai il numero dei propri dipendenti, non potendosi accollare ulteriori costi fissi».
L’aumento dello stipendio, non è ipotesi da escludersi. «Sarebbe contestualmente utile, infatti – continua il professore -, una grande manovra sui consumi; elevando il reddito dei lavoratori, se ne aumenterebbe la capacità di acquisto; e, consumando di più, darebbero il loro contributo al rilancio dell’economia». Ora, semplicemente, non si può fare. «Servirebbero più molte più risorse di quelle che possiamo permetterci; e rimane il vincolo del debito pubblico e del bilancio da risanare».