Ieri lo spread ha chiuso a quota 436 e il rendimento dei titoli decennali si è attestato al 6,19% sul mercato secondario, restando molto vicino a quella soglia del 7% che per molti operatori rappresenta un punto di non ritorno. Eppure la Banca d’Italia ha spiegato che il debito pubblico italiano è sostenibile nei prossimi due anni anche se i tassi di interesse sui titoli di Stato arrivassero all’8% e la crescita fosse uguale a zero. Ci si chiede però quali potranno essere le conseguenze sulle aziende, gli istituti di credito e le famiglie. Lo chiediamo al giornalista Mauro Bottarelli.



I titoli di stato italiani, -spiega Bottarelli – soprattutto con il rendimento che hanno in questo periodo, sono un ottimo investimento, e per quanto non vogliano farlo credere tedeschi e francesi, l’Italia è sempre stata solvibile sul suo debito e continuerà ad esserlo, per cui in questo Paese non si vedono all’orizzonte problemi di bond non rimborsati. Cosa differente è invece andare a fare azzardi su titoli di stato di altri paesi, ma in questo momento non ci sono problemi particolari».



Le condizioni dei prestiti alle aziende peggiorano e Bankitalia, attraverso il Rapporto sulla stabilità finanziaria, rende nota l’alta quota di debiti bancari con scadenze ravvicinate. Sempre secondo Bankitalia, potrebbero anche aumentare notevolmente i tassi di interesse sui prestiti alle famiglie, se le difficoltà di raccolta delle banche italiane sui mercati all’ingrosso dovessero proseguire. «Anche in questo caso – continua a spiegare Bottarelli – dobbiamo “ringraziare” l’Europa, francesi e tedeschi, visto che non si capisce perché l’Eba, l’Autorità bancaria europea, abbia messo delle condizioni di ricapitalizzazione estremamente stringenti per noi e per le banche spagnole, e molto meno stringenti per le banche tedesche e francesi che invece sono strapiene di debito a rischio. E’ ovvio che portare questo capitale base al 9% significa il forte rischio che le banche nel’immediato diano vita a un altro “credit crunch”, cioè la stretta del credito: avendo necessità di capitalizzare e avendo difficoltà a ottenere soldi sull’open market, c’è il rischio che le banche siano tentate di tenere più cash possibile in cassa ed erogarne meno a famiglie e imprese. Anche questo è stato l’ennesimo errore compiuto dall’Europa, però credo più in un errore interessato.



Draghi ha deciso da poco un abbassamento del costo del denaro che potrebbe in qualche modo aiutare a sbloccare la situazione, e credo sia stata una mossa coraggiosa e molto azzeccata. Anche riguardo i prestiti immobiliari i rischi sono gli stessi di cui abbiamo parlato prima: dobbiamo ragionare sul fatto che ormai siamo in un mercato che è completamente interdipendente e in una situazione in cui abbiamo la Bce e non Bankitalia, quindi abbiamo molti margini in meno di prima, più protezione però anche più rischi connaturati rispetto a prima. Bisogna fare in modo che non si arrivi al credit crunch e fare in modo che quanto richiesto dalle nostre banche non vada ad intaccare immediatamente una possibile ripartenza, perché è ovvio che siamo in un momento di stagnazione assoluta, però è anche vero che determinati segnali possono anche autogenerarsi».

«Credo che la decisione di Draghi di tagliare il costo del denaro sia un segnale di grande importanza, ma c’è il rischio che questa svolta venga soppressa nei fatti da politiche come quelle dell’Eba o come quelle di diretta emanazione franco-tedesca, che hanno tutto da guadagnare su politiche che vanno contro le imprese italiane e il loro finanziamento. Occorre tenere i nervi saldi, e occorre anche ricordarsi che questo Paese ha i mezzi per far fronte a tutti questi problemi, per il semplice fatto che le nostre banche, a differenza di quelle francesi e tedesche, sono banche che fanno il loro lavoro, cioè gestione del risparmio e erogazione del credito».

In questo momento la solidità del sistema bancario in Italia non è un problema diretto. – commenta Bottarelli – Rispetto ai sistemi bancari d’Europa, come quello francese, tedesco, spagnolo e inglese, il sistema italiano è molto più sano, ma paga altre cose, come queste misure distorsive, come la richiesta di ricapitalizzazione assolutamente distonica tra noi, la Spagna, la Francia e la Germania. Paga anche una situazione di credit crunch generale e congelamento dei prestiti che vede le banche strangolate sul loro mercato, quindi in grande difficoltà».   

Se si fosse deciso di salvare davvero la Grecia fin dall’inizio e non di metterci in mano agli isterismi e ai pressapochismi di francesi e tedeschi,  – conclude Bottarelli – si sarebbe trattato di 346 miliardi di euro, quindi si sarebbe potuta tamponare la falla tranquillamente. Si è perso tempo per incapacità e per particolarismi nel voler tutelare i soggetti maggiormente esposti, cioè francesi e tedeschi, e si è arrivati a questa baraonda finale. La rottura dell’euro sarebbe ovviamente un cataclisma, e oserei dire che nessuno in questo momento sta valutando quell’ipotesi. Una cosa è chiara: se ci sarà uno stato che sancirà la fine dell’euro uscendone non sarà la Grecia, né tantomeno l’Italia, ma sarà la Germania per scelta propria».

 

(Claudio Perlini)