Non c’è fine ai rischi sul debito pubblico italiano. Ci mancava adesso anche il recente intervento dell’Eba, l’autorità bancaria europea. La decisione dell’Eba, che prevede per gli istituti europei di innalzare dal 7% al 9% il Core Tire 1, ossia l’indice che misura la solidità patrimoniale delle banche, cela un pericolo sui debiti pubblici dei paesi periferici. Le nuove regole contabili previste dall’autorità presieduta dall’italiano Andrea Enria stabiliscono di valutare con il mark-to-market i titoli del debito pubblico. In altri termini, si dovranno contabilizzare anche le minusvalenze potenziali dei titoli statali, ma in questo modo si assottiglia il patrimonio e così le banche sono costrette dall’Eba a ricapitalizzarsi. Un invito indiretto, dicono i banchieri italiani, a vendere le obbligazioni pubbliche che i nostri istituti di credito hanno in percentuale maggiore rispetto agli istituti francesi e tedeschi.
Non solo per questo i vertici dei nostri gruppi bancari hanno protestato negli scorsi giorni per la decisione dell’Eba. Con le nuove regole, gli istituti italiani saranno costretti a ricapitalizzarsi per 14,77 miliardi di euro, di cui la metà circa in capo alla sola Unicredit. “Sono Francia e Germania a scrivere le regole per le banche”, ha protestato negli scorsi giorni il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, con inedita virulenza”. “Quelle nuove regole, indicate dall’Eba, sembrano fatte apposta per penalizzare le banche italiane, le quali non hanno avuto la responsabilità nei dissesti finanziari”.
“È vero che le banche italiane presentano un livello di patrimonializzazione inferiore a certi paesi, come ad esempio Gran Bretagna, Svizzera o stati del Nord Europa – ha notato l’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni -, ma questo è giustificato da un bilancio molto meno rischioso”. Le banche di Francia e Germania hanno potuto compensare le perdite sui titoli di stato periferici con le plusvalenze potenziali sui loro titoli nazionali, mentre le banche italiane sono esposte in misura massiccia al rischio Italia e hanno pochi bond esteri; una situazione opposta rispetto in particolare alle banche tedesche.
“Ma la cosa surreale è che a questo grave danno alle banche italiane e spagnole – ha scritto sabato 5 novembre Sergio Luciano su Italia Oggi – l’Eba ha aggiunto la beffa di non applicare lo stesso criterio di contabilizzazione con il mark to market agli investimenti fatti in titoli privati, i cosiddetti titoli level 3, tra i quali tanti titoli tossici come i subprime Usa. Come mai questa assurda differenza di trattamento? Perché il portafoglio delle grandi banche estere straniere, come Deutsche Bank, Bnp, Ing, Rbs e tutte le grandi angloamericane, è rimpinzato di questi titoli privati level 3, ad alto e concreto rischio di default”.
L’illogicità delle nuove regole è in verità contestata anche dall’economista Giovanni Ferri, direttore del dipartimento di economia e matematica della facoltà di Economia dell’Università di Bari, e componente del Banking Stakeholder Group presso l’Eba, ovvero l’organo consultivo dell’autorità bancaria europea: “La scelta di ricapitalizzare le banche soffre di un vizio logico – ha detto in un’intervista a Il Foglio -. Se il rischio di default che si riverbera sulle banche proviene dal proprio debito sovrano, non sembra esserci via d’uscita. Infatti, anche se le banche del Paese che va in default non detenessero titoli pubblici del proprio Paese, la via del dissesto si aprirebbe per esse perché il default del debito sovrano inevitabilmente causerebbe fallimenti diffusi nell’economia nazionale e, di conseguenza, un mare di sofferenze per le banche stesse. Quindi, se si sta parlando del rischio di default del proprio debito sovrano, la scelta di ricapitalizzare non pare risolvere il problema”.
L’unica possibilità in cui la ricapitalizzazione non è illogica, secondo Ferri, “riguarda il caso nel quale si stia parlando del default non del proprio debito sovrano, ma di altri debiti sovrani. Perciò, ha senso per le banche non greche ricapitalizzarsi contro il default greco, cosa che non sembra invece logica per le banche greche. Mutatis mutandis, lo stesso vale per le banche italiane”. Infine, un’ammissione: “L’Eba – ha detto l’economista Ferri, che è uno dei cinque membri tecnici dell’organo consultivo dell’autorità europea di settore – deve applicare le regole e risponde agli indirizzi delle autorità politiche Ue”. Indubbiamente, riconosce Ferri, “quando il direttorio tedesco-francese si esprime con forza verso la soluzione della ricapitalizzazione e i vertici della Commissione e dell’Ecofin si allineano a ciò, tale impostazione deve essere applicata”.