Le voci di imminenti dimissioni da parte di Silvio Berlusconi sembrano aver portato ieri a una svolta sui mercati finanziari: Piazza Affari, fino ad allora in rosso, a metà mattina ha invertito rotta guadagnando oltre il 2%; lo spread Btp-Bund, che aveva raggiunto un nuovo record sopra i 490 punti base, è sceso intorno ai 470. La smentita arrivata dal Premier non ha alla fine più di tanto rimosso gli indici: in pochi scommettono, infatti, che possa superare indenne il voto di fiducia alla Camera sulla legge di stabilità. «Dobbiamo guardare a questa situazione – è il commento dell’economista Giulio Sapelli – con uno sguardo di medio-lungo periodo. Dobbiamo tenere i nervi saldi, perché questo non è che l’inizio di un periodo di instabilità, di alti e bassi».



La sensazione, però, è che i mercati non giudichino affatto negativamente l’ipotesi di dimissioni o di caduta di Berlusconi.

C’è una cosa che spaventa i mercati più di tutte le altre: l’instabilità. E il conflitto tra Berlusconi e Tremonti, la debolezza del Governo hanno ormai creato una situazione di instabilità. Ciò che deduco è che per i mercati il timore dell’instabilità per la permanenza di Berlusconi al governo sia superiore al timore per la situazione che si verrà a creare dopo la sua eventuale caduta. Io non credo che lui mediti di dimettersi, ma le voci dicono che non avrà più la maggioranza in Parlamento e che quindi dovrà andare al Quirinale. Secondo me, è difficile che il Presidente della Repubblica in questa situazione gli rinnovi l’incarico.



Le soluzioni a quel punto sarebbero tre: governo “di larghe intese”, governo tecnico o elezioni. Quale sarebbe auspicabile?

Credo che ci siano forti pressioni per andare alle urne, ma ritengo che con questa legge elettorale ci sia la possibilità che non si trovi comunque una stabilità, che ci sia una maggioranza al Senato e un’altra alla Camera. La ragione vorrebbe che si facesse una riforma elettorale che impedisca questo “mostro”. Sui governi tecnici ho un giudizio molto negativo, dato che quelli degli anni ’90 hanno avuto effetti catastrofici sulla nostra economia nel medio-lungo periodo. Mi auguro quindi che ci sia un governo politico, che abbia come primo compito quello di cambiare la legge elettorale e preparare le condizioni per andare a elezioni.



Ieri il commissario europeo agli Affari economici, Olli Rehn, ha chiesto chiarimenti all’Italia sulla lettera che il governo ha inviato a fine ottobre all’Europa. Cosa ne pensa?

Diciamo che Rehn non spicca per perspicacia diplomatica. Anche l’uomo della strada sa che il contenuto di quella lettera è stato concordato con i vertici della Commissione europea. I contenuti possono apparire “vaghi”, ma questo è dovuto al fatto che è mancata la trasformazione di quegli impegni in un decreto legge.

 

Ha fatto invece molto discutere il ruolo che avrà il Fondo monetario internazionale nel verificare l’attuazione di questi impegni promessi all’Europa.

 

Mi pare evidente che l’Italia è sotto commissariamento sia della Commissione europea che del Fmi. Una situazione inevitabile che ha due ragioni: la degenerazione della vita governativa (lo scontro Berlusconi-Tremonti e la mancanza di decisioni rapide) e il fatto che il duopolio franco-tedesco si sta preparando a muoversi all’assalto di quello che è possibile conquistare. Così come negli anni ’90, mi pare che ci si stia preparando al grande saccheggio dei Lanzichenecchi. Solo che adesso ci sono meno cose da portare via.

 

Imprese e banche italiane sarebbero nel mirino?

 

Tutto ciò che è quotato in Borsa ora è più depredabile, perché i prezzi sono “di saldo”. Se poi andiamo a vedere i livelli di capitalizzazione che sono chiesti alle banche italiane ci accorgiamo che sono altissimi rispetto a quelli pretesi per quelle francesi e tedesche, anche se hanno in pancia asset tossici. Un segno evidente che la legge, anche per quel che riguarda i parametri europei, non è uguale per tutti. Dico questo senza alcun spirito nazionalistico. Non sono un difensore dell’italianità, salvo che nei settori strategici (energia, telecomunicazioni e armamenti). Penso, infatti, che uno Stato in mezzo al Mediterraneo, anche se fa parte della Nato, debba garantirsi un certo grado di autonomia decisionale.

 

A proposito di spirito nazionalistico, in questi giorni sulle pagine di alcuni quotidiani sono comparsi appelli agli italiani affinché acquistino titoli di stato del proprio Paese. Cosa ne pensa?

 

Mi sembra una cosa positiva. È chiaro che se, attraverso il risparmio delle famiglie italiane, noi riportassimo come un tempo i nostri titoli di stato dentro i confini, dato che ora sono per oltre il 40% in mani straniere, saremmo in una situazione di maggior sicurezza.

 

Analizzando la situazione, qualcuno sostiene che dopo la retromarcia della Grecia sul referendum, ora l’Italia sia rimasto l’unico bersaglio utile per chi vuole distruggere l’euro. È d’accordo?

 

No. Certamente, avremo degli attacchi speculativi, perché in Italia manca ancora la crescita economica. Ma il nostro Paese, dato i fondamentali che ha, non può essere considerato il “ventre molle” dell’Europa. Certo, ha un debito pubblico molto pesante, ma anche una ricchezza immensa.

 

C’è anche chi sostiene che il caso italiano possa rappresentare un “grimaldello” per cominciare a trasformare la Bce, rendendo le sue politiche più simili a quelle della Fed.

Sicuramente la politica della Bce – già con Trichet – si sta lentamente avvicinando (al di là delle norme statuarie) alla prassi della Fed, la quale garantisce non solo la stabilità monetaria, ma anche la crescita economica. Se la Germania fosse un Paese consapevole dei propri compiti storici, cioè del fatto che deve svolgere un importante ruolo europeo – inteso non come il take over sull’Europa, ma come promotore della crescita europea – allora si renderebbe conto che dovrebbe essa stessa accompagnare e facilitare questa politica di trasformazione della Bce.

 

Perché è così importante questo cambiamento di atteggiamento dell’Eurotower?

 

Perché il grande pericolo oggi è la deflazione, cioè il fatto che i prezzi crollino e che quindi non si riesca né a vendere le merci, né a uscire dal problema del debito pubblico. L’unica cosa che può salvare l’euro e l’Europa è un po’ di inflazione. Se fosse intorno al 7-8%, i debiti pubblici pian piano scomparirebbero e, soprattutto, il denaro costerebbe molto meno caro alle famiglie e alle imprese. Bisogna scrollarsi di dosso questa folle paura dell’inflazione e l’ossessione che sia il debito pubblico a bloccare la crescita: sono cose teoricamente e storicamente indimostrabili. Se la Germania va avanti così diventerà un’economia circondata dal deserto e non saprà neanche dove vendere i suoi beni in Europa.

 

Cosa pensa della prima mossa di Draghi come Presidente della Bce, ovvero il taglio dei tassi di interesse?

 

Mi pare evidente che per averlo fatto così a ridosso del suo insediamento doveva necessariamente averlo già concordato con il suo predecessore: non c’è spazio per le improvvisazioni nella complessa tecnocrazia della Bce. La mossa di Draghi è stata molto importante e positiva e, secondo me, il tasso di interesse andrebbe tagliato ulteriormente.

 

Un’ultima considerazione: come giudica l’atteggiamento della stampa estera nei confronti dell’Italia in questo frangente?

 

Devo dire che la stampa estera non ha brillato. Il Financial Times ha una sua politica di severità verso l’Italia che reputo non del tutto negativa. Ho trovato penoso l’atteggiamento della Frankfurter Allgemeine Zeitung, anche perché chi conosce il suo corrispondente sa bene che ha una visione dell’Italia uguale a quella di un Paese africano. In ogni caso, il più grave danno che la stampa straniera può fare è quello di identificare Berlusconi con tutti gli italiani. Anche le persone che votano per Berlusconi non sono Berlusconi. I giornalisti stranieri sembrano purtroppo non riconoscere questa semplice evidenza.

 

(Lorenzo Torrisi)

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