Ma guarda cosa si scopre dando un’occhiata ai cables di Wikileaks, come ha fatto Zerohedge. Il 12 febbraio del 2010, quindi quando ancora il tracollo del debito sovrano europeo non era in atto e la Grecia era sì un problema ma non ancora un incubo, l’ambasciatore americano in Germania, Philip Murphy, 23 anni a Goldman Sachs, con una nota confidenziale rendeva noto quanto segue al suo governo: «Un chapter 11 per l’eurozona. Il capo economista della Deutsche Bank, Thomas Mayer, ha dichiarato all’ambasciatore Murphy che è pessimista rispetto alla Grecia e alla sua capacità di compiere i passi necessari per rimettere a posto i conti. Un worst case scenario, dice Mayer, potrebbe contemplare il fatto che la Germania esca dall’eurozona entro 20 anni. Nel 1990, infatti, la Corte Costituzionale tedesca sancì che il Paese poteva ritirarsi dall’euro se 1) l’unione monetaria fosse diventata una zona inflazionaria; 2) i contribuenti tedeschi si tramutassero in salvatori de facto dell’Unione. A tal fine, Mayer propose un “Chapter 11 per le nazioni dell’eurozona” che porrebbe gli Stati in difficoltà sotto supervisione, fino a quando i loro conti non siano tornati in ordine. Sfortunatamente, non ci sono discussione serie al riguardo in atto, si lamentò all’epoca Mayer».
Non mi serviva Wikileaks per avere conferma di quanto scrivo da mesi, ma più passa il tempo più il Re appare nudo. Anche se ammetto che scadere nella dietrologia, a volte, è facile. Di mio non sono uno che ha mai creduto ai coccodrilli bianchi nella fogne di New York, né ai serpenti che risalgono dai gabinetti, ma il fatto che spesso le cose, al mondo, non siano proprio come sembrano, questo sì. Quindi, prendete il cable iniziale e quanto segue per quello che è: ovvero, informarvi su un qualcosa di cui all’estero, soprattutto negli Usa, si parla e in Italia no o solo con pochissime eccezioni.
Dallo scorso aprile abbiamo imparato a conoscere Pippa Middleton, sorella della reale Kate e il suo notevole lato B, ma c’è un’altra Pippa che vale la pena conoscere: Pippa Malmgren, presidente del Principalis Asset Management, nonché ex consigliera di George W. Bush e di Deutsche Bank. Bene, questa signora dai trascorsi negli ambienti che contano, pochi giorni fa ha candidamente dichiarato che la Germania sta valutando la sua uscita dall’euro e avrebbe preallarmato, attraverso la Bundesbank, chi di dover per tenersi pronto a stampare nuovi marchi tedeschi. Anzi, stando a quanto dichiarato dalla Malmgren, l’istituto centrale tedesco avrebbe invitato gli stampatori a “darsi una mossa” nel loro piano di preparazione all’eventualità di reintroduzione della vecchia valuta.
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Ora, ammetto anch’io che appaia un controsenso, che la Germania rischia di pagare un conto altissimo per una scelta del genere – ben più salato della riunificazione – ma qualche elemento fa riflettere e non cestinare immediatamente la tesi della Malmgren come “fantasia”. Primo, la percentuale di tedeschi che vorrebbe la reintroduzione del marco varia dal 50% al 70%, dipende dai sondaggi: mai più bassa, comunque. Secondo, l’atteggiamento della Merkel di fronte al Bundestag mercoledì mattina prima di recarsi al vertice dell’Ue: «Non un euro tedesco in più, per aumentare la potenza di fuoco del fondo salva-stati. Il contributo di Berlino alla crisi è di 211 miliardi e questo rimane. Dove sta scritto che per cambiare i trattati europei servono 10 anni? Le regole vanno cambiate, con pesanti sanzioni per chi viola i patti di stabilità, che in futuro dovrà rispondere davanti alla Corte di giustizia europea. Una partecipazione della Bce al rafforzamento del fondo non è sul tavolo, e questo per la Germania è fuori questione. Basta con l’acquisto di bond sovrani da parte della Bce».
Terzo, una sorta di dna politico che secondo la Malmgren alla fine prevarrà: «Il contratto sociale tra i cittadini tedeschi e i loro leader preclude la monetizzazione del debito, data la loro storia. Non è un caso che la Germania abbia già cominciato a enfatizzare la necessità di un nuovo trattato Ue». Quarto, un sondaggio condotto dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung svela che per il 71% dei tedeschi l’euro non ha futuro. Quinto, il vice-cancelliere tedesco, il liberale Phillip Roesler, in un discorso tenuto l’11 settembre scorso sottolineò come non ci sarebbe stato più nessun salvataggio e che qualsiasi politico avesse approvato il trasferimento anche di un solo euro tedesco a un’altra nazione non sarebbe sopravvissuto politicamente. Infine, l’ammissione consegnata all’edizione domenicale del quotidiano Die Welt: «Non esistono limiti di pensiero riguardo possibili scenari su come far terminare la crisi dell’euro». Sesto, pur ammettendo che abbandonando l’euro la Germania compirà una mossa radicale e pagherà un prezzo maggiore sull’export, la Malmgren è convinta che le industrie tedesche sono forti abbastanza da saper gestire l’aumento dei prezzi.
Inoltre, citando il report “Checking Out: Exits from Currency Unions” (pubblicato dalla Monetary Authority of Singapore), la Malmgren sottolinea come altre nazioni abbiano già lasciato unioni monetarie e, normalmente, queste sono più grandi, più ricche, più democratiche e con un’inflazione più alta dei partners che abbandonano. Per Malmgren, inoltre, «altre nazioni dell’eurozona sono destinate al default, fattispecie che causerà profondi cambiamenti nella società. È importante che si cominci a preparare l’opinione pubblica ad affrontare questa situazione».
Quindi, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi giorni e settimane? Nell’ordine: il default della Grecia; la Germania si attiva subito per proteggere le proprie banche, ma altri paesi non riusciranno a fare altrettanto, provocando default sovrani multipli o fallimenti bancari, i quali potrebbero portare a crisi sui pagamenti nel sistema bancario globale. I derivati saranno particolarmente a rischio in termini di operatività ed esecuzione; l’euro crollerà contro il dollaro; i tedeschi annunceranno la re-introduzione del marco; l’euro crollerà ulteriormente; avvio delle procedure legali per determinare la liceità della decisione tedesca, processi che richiederanno anni; la Germania insisterà sul fatto che l’euro deve continuare a esistere, anche se Berlino ne avrà smesso l’utilizzo come valuta. Inoltre, porrà con enfasi la questione dell’unificazione europea che deve continuare, suggerendo nuovi strumenti legali per rafforzarla, inclusi nuovi trattati Ue.
Uno scenario apocalittico quello tracciato nella sua road map dalla Malmgren, a conferma del quale l’ex consulente della Casa Bianca cita le sibilline parole di Christine Lagarde, secondo cui «l’economia mondiale sta entrando in una nuova, pericolosa fase» e il fatto che al meeting di Jackson Hole dello scorso settembre, molti policymakers dissero a chiare lettere che si stava entrando in un periodo storico dove avremmo dovuto fronteggiare sfide che andranno ben oltre gli scopi fino a oggi fronteggiati. Ma anche in Germania c’è qualche conferma di sinistri scricchiolii. Per Stefan Homburg, capo dell’Institute for Public Finance tedesco, «l’euro sta avvicinandosi alla sua brutta fine. Un collasso dell’unione monetaria oramai appare inevitabile».
Ma non pensiate che la Germania stia preparandosi al peggio. Attraverso un commento pubblicato dal Guardian, Alan McQuaid, capo economista alla Bloxham stockbrokers di Dublino, fa sapere che circolerebbero voci riguardo il fatto che il governo irlandese stia stampando vecchia moneta in caso il Paese lasciasse l’eurozona. McQuaid ammette di non poter confermare se il rumour sia vero, ma si è detto speranzoso che «l’Irlanda abbia dei piani di emergenza in caso l’euro dovesse disintegrarsi».