Le liberalizzazioni erano uno dei tanti obiettivi che questo governo, sin dal suo insediamento, si era preposto come priorità. Anzi: si può dire che, in parte, il suo insediamento stesso fosse legittimato dall’urgenza di varare quei provvedimenti che non si sono adottati in decenni. Ma, a oggi, cosa è cambiato? «Salvo alcune misure sulle parafarmacie e altre cose marginali, non è ancora stato fatto praticamente nulla», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica alla Bicocca di Milano. «Il quadro di riferimento – continua – era quello dettato dall’Antitrust, l’Autorità garante per la concorrenza del mercato che, nella primavera del 2010, formulò un parere sulle liberalizzazioni da farsi: poste, ferrovie, distribuzione di gas e carburanti, servizi pubblici locali, anzitutto. Dal suo parere a oggi, i provvedimenti principali che si sarebbero dovuti attuare sembrano essere caduti nel limbo. Sono sfuggiti anche a questa manovra».



Una circostanza bizzarra vuole che il premier Monti, da questo punto di vista, sia tra i massimi esperti mondiali, essendo il padre della legislazione concorrenziale europea. «Il problema, in questi casi, specie per poste, ferrovie e distribuzione dell’energia, consiste nel fatto che, sostanzialmente, lo Stato si troverebbe a dover liberalizzare “contro” se stesso. Il che rappresenta un deterrente non da poco». Il medesimo problema ha luogo per i servizi pubblici locali: «La loro liberalizzazione, in questi  casi, confligge con i Comuni e le Regioni proprietari. I quali, infatti, sono i regolatori che dovrebbero bandire le gare e affidare i servizi e, al contempo, proprietari di tali servizi». Se, attualmente, non è stato fatto ancora nulla, non è escluso che l’attuale ministro per lo Sviluppo economico, nell’immediato futuro, inneschi il processo richiesto. «Passera, se vuole, ha tutta la forza per varare le liberalizzazioni necessarie. Ha un curriculum non indifferente e non ha necessità di ottenere consensi, non essendo un politico di professione. Bisogna, tuttavia, ricordare che in passato, da Amministratore delegato di Poste Italiane prima di Intesa Sanpaolo, ha dovuto difendere alcuni assetti aziendali che erano tutt’altro che concorrenziali».



In ogni caso, i vantaggi andrebbero ben al di là del reperimento delle risorse necessarie per far cassa e abbattere il debito. «Il beneficio più grande è in termini di sviluppo economico. Abbiamo una serie di mercati in Italia che, dal momento che attualmente non è pensabile che se ne creino di nuovi, occorre implementare. E l’unico modo per farlo consiste nell’alimentare un assetto meno monopolistico e più concorrenziale. Si produrrebbero una serie di effetti positivi in termini di occupazione, Prodotto interno lordo e benefici per i consumatori».

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