Non sempre alla fine delle lunghe notti di Bruxelles sorge il sole. Quello che si è visto all’alba del 9 dicembre aveva una luce pallida, quasi agghiacciante. Diventata nebbia quando la mattina si è cercato di mettere i punti sulle “i” (come si diceva un tempo a scuola). In effetti, l’accordo (se tale si può chiamare) solleva numerosi interrogativi. In primo luogo, non siamo a una revisione dei trattati di base dell’Unione monetaria. Non siamo, però, neanche al sotterfugio o scorciatoia individuata dalla Commissione europea di utilizzare l’articolo 136 del Trattato di Lisbona per modificare le norme fondamentali del “Patto di crescita e stabilità” tramite due regolamenti. Per il trattato (di revisione dei trattati) ci si è dati appuntamenti a marzo. Prima di seguire i contenuti della proposta della Commissione (in via negoziale non tramite regolamenti), molti Stati membri hanno affermato di voler avere il giudizio e l’approvazione dei rispettivi Parlamenti. E uno (la Gran Bretagna) se ne andato sbattendo la porta.



Ilsussidiario.net ha più volte sottolineato in questi ultimi giorni come, sotto il profilo giuridico- istituzionale, le proposte sollevano serie perplessità. In essenza, le politiche di bilancio dovrebbero venire approvate dalle autorità europee o modificate secondo le loro indicazioni prima ancora di essere vagliate dai Parlamenti nazionali. Gli eurocrati – “apratidi” e “irresponsabili” come li chiamava De Gaulle – avrebbero un diritto di primogenitura rispetto agli eletti.



Da un lato, ciò comporta seri problemi di democrazia rappresentativa. Da un altro, gli “eurocrati” si sono spesso rivelati “pasticcioni” e “impiccioni” (termini utilizzati da Giuliano Amato in un libro del 1976, ma ancora validi oggi) e, dunque, poco efficienti; nei loro confronti non si prevede la sanzione da parte del corpo elettorale, ma sia che facciano bene, sia che facciano male sono inamovibili sino all’età della pensione. Mettere nelle loro mani le politiche di bilancio non può che suscitare seri dubbi. Sarebbe il coronamento di un decennio in cui lo Stato e i suoi addentellati, invece di fare marcia indietro per lasciare spazio agli individui e ai corpi intermedi, è diventato sempre più tentacolare.



Sotto il profilo della politica economica, vengono delineate politiche di bilancio seriamente restrittive in un’eurozona – lo affermano i 20 maggiori centri internazionali di ricerca econometrica – già entrata in recessione. Per l’Italia alcuni di questi centri prevedono una contrazione di tre punti percentuali del Pil per il 2012. Non si contempla un’azione espansionista da parte della Banca centrale europea (come sarebbe auspicabile) che invece viene sobbarcata pure del Fondo salva-Stati. Soprattutto, pare che nessuno si sia chiesto perché il “Patto di crescita e di stabilità” in questi dieci anni di euro non ha funzionato o ha operato in maniera differente dal previsto. Avere eluso questa domanda è, a mio avviso, l’errore che renderà tutta in salita la vita futura dell’eurozona.

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