Tutto rinviato. Di un anno, almeno. Le grandi liberalizzazioni promesse dal governo Monti si arenano ancor prima di salpare (come quella sui taxi). È l’effetto di alcune norme contenute nel pacchetto di emendamenti già presentati alla Camera. Sopravvivono solamente alcuni provvedimenti sulle liberalizzazioni delle farmacie. Ma del resto, laddove non fossero state rinviate, le misure contenute nella manovra Monti, di per sé, non avrebbero cambiato l’Italia. «Al momento i provvedimenti in questione sono solo accennati. Certo, su alcuni temi è possibile che il governo prenda posizioni coraggiose. Tutto, ovviamente, dipenderà dalla sua capacità di far digerire tali decisioni al Parlamento. In tal senso, i segnali sono scoraggianti», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni. Il problema, ancora una volta, è quello di sempre: «Si sono messi di mezzo i soliti interessi corporativi, dagli ordini professionali alla casta dei politici locali, (questi ultimi, per quanto riguarda i servizi pubblici). È evidentemente un problema che deriva dalla dinamiche parlamentari. Chi, all’interno del governo se ne occupa non è sospettabile di timidezza su questi argomenti. Vien da chiedersi, tuttavia, che senso abbia rendere impossibile all’esecutivo realizzare gli stessi obiettivi per i quali si è insediato».
Tra le misure contenute in manovra, e rinviate, sono tre, secondo Stagnaro, le più interessanti: «quella sugli ordini professionali (anche se attualmente resta un guscio vuoto. Resta da capire come sarà declinata); quella sui servizi pubblici locali; e quella sulla distribuzione commerciale. Va ricordato che, negli ultimi due casi, molto dipenderà dalle legislazioni regionali. Sarà necessario che il governo metta a punto una qualche forma di pressione o di condivisione delle scelte. Altrimenti, accadrà, come per le liberalizzazioni di Bersani del ’99, quando le decisioni del governo furono vanificate». Una serie di comparti decisivi non sono stati lontanamente presi in considerazione. «È del tutto assente la liberalizzazione dei grandi settori economici, come le poste, le ferrovie e il gas». Anche in questo caso, il problema è quello di sempre: «Il soggetto dominante sul mercato, in senso più o meno monopolista, è di proprietà pubblica; il che crea un forte conflitto di interessi all’interno dello stesso governo. In alcuni casi, inoltre, per avere una liberalizzazione reale sarebbe necessaria anche una ristrutturazione dell’azienda. Come nel caso di Eni e Poste italiane che andrebbero suddivise in tronconi diversi. Difficile, quindi, liberalizzare questi mercati senza procedere a forme di privatizzazione».
Sta di fatto che lo stallo sin qui determinatosi non è per nulla rassicurante. «Il governo, così, perde credito. Nessuno si aspetta che provvedimenti che attendono il varo da 15 anni siano realizzati in 15 giorni. Ma si ha la sensazione di un temporeggiamento dettato dai medesimi ingessamenti del mondo politico che hanno determinato l’impossibilità per i governi Prodi e Berlusconi di condurre a buon fine le liberalizzazioni auspicate».