Ancora novità sul fronte dell’ormai famigerata Imu. Anzitutto, le persone fisiche residenti in Italia, ma in possesso di immobili all’estero, dovranno versare un’imposta pari allo 0.76% del valore di tali immobili. «Dal punto di vista teorico, l’immobile dovrebbe essere tassato ove è locato, e non nel luogo di appartenenza del proprietario. Ovvero, dove il Comune eroga quei servizi alla spesa per i quali occorre contribuire», spiega, interpellato da ilSussidiario.net Gilberto Muraro, professore di scienza delle Finanze presso l’Università di Padova. «Altra questione – aggiunge -, è il momento in cui il cittadino si mette di fronte allo Stato per pagare un’imposta personale che tenga conto dell’intera capacità contributiva e, quindi, anche dei beni all’estero. Andrebbe bene, quindi, un ragionamento di questo tipo per quanto riguarda l’Irpef, meno per le imposte locali». Così come in questo caso, dove il governo ha previsto un credito di imposta pari a quanto si versa allo Stato in cui l’immobile si trova, va ricordato che «in genere, la materia è regolata dai trattati internazionali».
Altra misura determinate, gli sgravi previsti, in proporzione al numero di figli, sull’Imu. Per ciascun figlio convivente, di età non superiore ai 26 anni spetterà una detrazione di 50 euro (con un tetto massimo fissato a 400 euro). Perché proprio 26 anni, la gente si domanda? Il fatto è che, dal punto di vista fiscale, un figlio è a carico finché non ha redditi superiori a 2.840,51 euro, a prescindere dall’età. Gli assegni familiari, tuttavia, spettano al figli che siano studenti universitari fino a 26 anni; nei limiti, però, degli anni di studio previsti dal corso di laurea frequentato. In ogni caso «di certo – continua Muraro -, lo sgravio per chi ha dei figli è una misura che ha come obiettivo l’equità». Sta di fatto che, ai fini di una maggiore razionalità contributiva, sarebbe stato, probabilmente, meglio una maggiore chiarezza sugli elementi che costituiscono la nuova imposta. «Personalmente – spiega Muraro – sono sempre stato a favore alla doppia imposizione, sul modello francese. Una sulla proprietà, e una sul residente». Oltralpe, infatti, si applicano la Taxe Foncière (tassa fondiaria) pagata dai proprietari e paragonabile alla nostra Ici e la Taxe d’Habitation, versata dai residenti, costituita dalla tassa sui rifiuti e dal canone tv. «Questo perché i servizi forniti dal Comune in parte aumentano il valore dell’immobile, in parte migliorano la vita dei residenti. Che, per l’appunto, possono essere proprietari ma anche semplici inquilini». In Italia, inizialmente, sembrava che si sarebbe andati in questa direzione. «Ovviamente – aggiunge Muraro – ricalibrando le aliquote». Così, tuttavia, non è stato. O, almeno, lo si è fatto solamente in parte.
«L’idea iniziale era quella di introdurre, contestualmente all’Ici, la Res, l’imposta sui rifiuti e i servizi; era stata una proposta del governo Berlusconi. Che, dopo aver compiuto l’enorme errore – specie in termini di federalismo – di cancellare l’Ici, avrebbe voluto rimediare, almeno parzialmente». Il governo Monti ha rimediato in maniera totale. Ma applicando il modello francese solo in maniera parziale. «Il numero di figli sul quale operare gli sgravi è una considerazione di natura personale di quelle che, secondo la doppia imposizione francese, andrebbe fatta confluire nel secondo tipo di imposta (la Res) e non su quella relativa unicamente all’immobile».