A fine ottobre, il Fondo monetario internazionale ha pubblicato un’analisi generale sul sistema economico europeo. Considerata la mole di pubblicazioni degli ultimi mesi, il rapporto sarebbe passato inosservato, impilato da qualche parte nella montagna di analisi che ogni giorno si riversano sulle scrivanie degli operatori finanziari. È stato un piccolo grafico a pagina 21 a far balzare il rapporto agli onori delle cronache. La figura 1.6 (che potete vedere più in basso), cause della crescita del debito pubblico, mette a confronto Germania, Italia, Francia e Regno Unito. E, come per uno di quegli esperimenti destinati a riscrivere un teorema, il risultato è molto distante da quanto ci saremmo aspettati.



Partiamo dalle conferme: a pesare sui conti pubblici italiani sono sempre loro, gli interessi passivi sull’enorme stock di debito pubblico (il rettangolo grigio). È una spirale negativa su cui molto è già stato scritto e più di un ministro ha promesso misure drastiche. Dai tempi di Quintino Sella ai (pazzi) giorni nostri.



Ma le colonne del grafico non risparmiano sorprese clamorose. La prima: per Francia e Regno Unito le perdite di gettito legate alla crisi hanno messo i conti in rosso per importi pari rispettivamente al 14% e 25% del Pil. In Gran Bretagna l’aumento del debito pubblico ha sfiorato un impatto pari al 40% del Pil. Dentro c’è un po’ di tutto: le perdite di gettito già citate, l’aumento della spesa per interessi, uno stimolo fiscale all’economia e un supporto al settore finanziario pari a quasi 10 punti del Pil. Vale la pena ricordarlo: da febbraio 2008, il governo di Sua Maestà è proprietario di Northern Rock, la banca specializzata in mutui immobiliari che per prima è caduta vittima del “credit crunch” d’oltremanica. Dal 2009 nel portafoglio di partecipazioni pubbliche fanno capolino anche Royal Bank of Scotland (per cui è stato necessario un salvataggio da 20 miliardi di sterline) e Lloyds Banking Group (qui il contributo dei sudditi britannici si è “fermato” a quota 17 miliardi di sterline).



La seconda sorpresa arriva dai dati sul debito pubblico tedesco. Tra i fattori che hanno contribuito al peggioramento dei conti pubblici, si distingue un carico di quasi 15 punti di Pil speso per sostenere il settore finanziario tedesco. Che il sistema dei Landesbank non se la passasse bene, non è certo una novità. Ma 15 punti di Pil sono un vero e proprio bail-out. Un paio di numeri aiutano a capire perché: dal 2007 a oggi, il solo Bayerische Landesbank ha subito perdite per 13 miliardi e mezzo di euro.

Ed è in buona compagnia: il Landesbank Baden-Wurttemberg, il Landesbank Sachsen, NORD/LB, WestLB, Deutsche Postbank e il Landesbank Hessen-Thueringhen hanno accumulato un rosso di altri 13 miliardi di euro (fonte Bloomberg). E guardando oltre al sistema bancario regionale (di proprietà pubblica), la situazione non migliora di certo: Commerzbank Bank, che a gennaio 2009 ha negoziato un prestito ponte con il governo tedesco per 18,2 miliardi di euro, nel periodo preso in esame dal Fmi (2007-2011) ha accumulato perdite per 12 miliardi di euro. Ciliegina sulla torta: a completare la lista di fattori che hanno incrementato il debito pubblico tedesco, figurano cinque punti percentuali di Pil spesi in stimoli fiscali. Ovvero, sostegno alla crescita economica attraverso la spesa pubblica.

Insomma, il governo di Berlino impone all’Europa la linea del rigore e si capisce perché: una volta spenti i riflettori sui summit di Bruxelles, dalle parti di Postdamer Platz si spende e si spande. Perché se lo possono permettere, si dirà. Forse, ma una cosa è certa: messi in dieta forzata i bilanci degli altri, stimolare l’economia a colpi di deficit è più facile e il conto si divide tra tutti i paesi dell’Unione.

Breve nota a margine: nello stesso periodo il governo italiano non ha ritenuto necessario spendere un solo euro per la crescita. Eccesso di zelo? Chi lo sa. Di sicuro, se il disavanzo italiano fosse aumentato per effetto di stimoli fiscali, da Bruxelles sarebbe arrivata una tirata di orecchi. A oggi, non mi risulta che la Commissione europea abbia tuonato sul peggioramento dei conti di Berlino: dal 2007 il bilancio tedesco è passato da un surplus dello 0,2% del Pil a un deficit del 4,3%. Una strategia che ha ripagato con un miglioramento del gettito di circa cinque punti percentuali (il quadrato blu del grafico). Nello stesso periodo, il disavanzo italiano si è assestato al 4%, in larga parte per effetto degli interessi passivi (e le variazioni di gettito sono appena percettibili).

Insomma, un piccolo grafico dall’apparenza innocua ha il potenziale per scatenare una rivoluzione copernicana: non è l’Europa a orbitare intorno a Berlino, ma Berlino a gravitare, con la propria sfera di interessi, intorno all’Unione. Proprio come un qualsiasi altro membro dell’Ue. Teniamolo a mente, soprattutto in tempi in cui Oltralpe va di moda salire in cattedra.

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