Il piagnisteo dei banchieri, ormai non solo italiani, inizia a essere troppo corale per essere veritiero. Certo, le regole dell’Eba, l’autorità di vigilanza europea, che ha previsto per le banche un rapporto patrimoniale Core Tier 1 al 9% può essere contestato. Così come sono stimmatizzabili i criteri di valutazione al mark to market per i titoli di stato che non si intendono vendere prima della scadenza; criteri fissati dalla stessa Eba presieduta da Andrea Enria. Detto questo, le ricapitalizzazioni imposte per gli istituti di credito dall’Eba devono essere osservate insieme con le mosse in corso di governi, banche centrali nazionali e Banca centrale europea (Bce).
Iniziamo dal governo. A strillare contro il decreto Monti sono stati in tanti, ma non si sono uditi gli strilli dei banchieri. Non è un caso. Infatti, non basta una mano per contare i provvedimenti della manovra che soddisfano appieno le richieste, più o meno palesi, delle banche. Facciamo qualche esempio. L’esecutivo presieduto da Mario Monti è stato il primo in Europa a prevedere una garanzia pubblica fino al prossimo giugno per le obbligazioni bancarie e altre passività degli istituti di credito. La norma avrà diversi effetti benefici per le banche, le quali potranno così dare alla Bce come collaterale i bond garantiti dallo Stato in cambio dei prestiti dell’Istituto centrale di Francoforte; inoltre, con la garanzia sarà più facile attingere al mercato dei prestiti interbancari.
Il maggior ricorso alla moneta elettronica, al posto del contante, era da tempo invocata dall’Abi, l’associazione bancaria presieduta da Giuseppe Mussari, che stima in complessivi 10 miliardi di costi in meno per banche e imprese dal minor ricorso al contante. Non solo. Nell’aumento dell’imposta di bollo per i conti correnti c’è un dettaglio che ha soddisfatto le banche; l’imposta è estesa anche ai conti postali, che prima erano esenti.
Se ci si sposta da Palazzo Chigi all’Eurotower le buone notizie per gli istituti aumentano. La Bce presieduta da Mario Draghi si è infatti impegnata a offrire alle banche linee di liquidità per 36 mesi all’1%; la prima asta si terrà domani. Questi finanziamenti devono essere garantiti da collaterale, ma la Bce accetta tutti i titoli sovrani, non solo italiani, ma anche greci e irlandesi e perfino mutui. Grazie a queste linee di credito, le banche hanno i profitti pressoché assicurati: possono prendere a prestito per tre anni dalla Bce all’1% e investire in titoli di stato italiani con la stessa durata al 6%, titoli che poi danno in garanzia alla Bce. Insomma, possono guadagnare il 5% senza assumersi alcun rischio: “Il rischio di credito per le banche è pressoché nullo – ha scritto l’economista Luigi Zingales su Il Sole 24 Ore -. Se il Tesoro italiano dovesse dichiarare bancarotta, le banche sono insolventi in ogni caso, quindi il rischio aggiuntivo se lo prende la Bce. Si tratta di un regalo tanto enorme che vorrei anche io essere una banca”.
La mossa della Bce, comunque, è stata pensata per avere un effetto positivo sull’economia reale: con maggiore disponibilità di liquidi, le banche saranno meno restie a erogare credito alle imprese. Ma quel che è certo è che, indirettamente, la Bce fornisce di fatto alle banche dei paesi periferici un incentivo a continuare ad acquistare quei titoli del debito pubblico che i criteri contabili dell’Eba inducono a detenere meno in portafoglio perché dovevano essere svalutati.
Ma c’è dell’altro nel pacchetto delle misure annunciate di recente dalla Bce di Draghi: gli istituti di credito possono ottenere liquidità anche dalle loro banche nazionali offrendo a garanzia quei prestiti nel loro bilancio che non sono accettati nelle operazioni con Francoforte. Che significa? Lo ha spiegato una che se ne intende, l’economista Lucrezia Reichlin, docente alla London School of Economics, già capo economista della Bce e adesso nel Consiglio di amministrazione di Unicredit: “Questo comporta – ha scritto su Il Corriere della Sera – un ulteriore allentamento della qualità delle garanzie. Inoltre, qualora il rischio su queste operazioni si materializzasse, le perdite sarebbero imputate alla Banca centrale del Paese dell’istituto di credito (e quindi al suo Tesoro) e non condivise dall’Eurosistema”.
Si dirà: si aiutano le banche per sorreggere gli stati e sostenere le imprese. Si vedrà se la scommessa riuscirà. Di certo a gioire al momento sono soprattutto le banche. Gli stati e le imprese possono attendere.
Twitter@Michele_Arnese