La Germania, nel 2009, si è data l’obbligo costituzionale di ottenere il pareggio di bilancio federale entro il 2016 e quello dei bilanci locali entro il 2020. La Francia, non è ben chiaro, più in là. Non capisco perché l’Italia debba ottenere il pareggio entro il 2013, rischiando un impoverimento strutturale per applicazione del rigore in modi troppo accelerati che non permettono di trovare bilanciamento grazie a più crescita del Pil. Perché l’Italia non può fare come la Germania, cioè darsi un tempo di riordinamento meno autodistruttivo e arrivare al pareggio entro il 2016?



La risposta comune a questa domanda è che a causa dell’enorme debito il mercato finanziario internazionale – che compra i nostri titoli nelle aste di rifinanziamento (nel 2012 saranno quasi 300 miliardi e nel 2013 di più) – vuole vedere subito che l’Italia non aumenterà il proprio debito, rendendo così più credibile che riuscirà a sostenerlo. Ma il mercato, in realtà, sta chiedendo all’Italia ben altra cosa: una formula di rigore compatibile con la crescita dove il primo non deve assolutamente compromettere la seconda.



Vuol dire, semplificando: cari italiani, è irrilevante che raggiungiate il pareggio di bilancio nel 2014 o 2018, ciò che importa è che sia credibile la traiettoria verso l’obiettivo e che l’Italia si metta, il prima possibile, in una prospettiva di crescita di almeno il 2% del Pil annuo, medio, nel futuro. Infatti, il mercato, da qualche settimana, resta scettico sui titoli di debito italiani non perché ci sia un difetto di rigore – il governo Monti è riuscito a ridare credibilità all’Italia su questo punto -, ma perché teme che il troppo, e troppo accelerato, rigore porti a una depressione che poi costringa a finanziare il pareggio con più tasse e così avviare una spirale di collasso dell’economia con l’esito finale dell’insolvenza. Infatti, continua a richiedere un premio di rischio elevato per comprare titoli nonostante l’estremo rigore, ma senza ancora misure di stimolazione della crescita. Inoltre, il mercato valuta con orrore la bozza di trattato europeo di “unione fiscale” che impone una gabbia restrittiva alle nazioni senza bilanciamenti favorevoli alla crescita.



Il punto: il mercato chiede all’Italia di calibrare rigore e crescita, mentre la Germania impone all’Italia il rigore anche a scapito della crescita. Il governo Monti ha confermato una politica di bilancio calibrata sul pareggio di bilancio nel 2013 perché quando l’ha impostata ha avuto l’impressione che potesse avere dall’Ue e dall’Eurozona un aiuto in cambio del rigore estremo. Ma nell’eurosummit del 9 dicembre non solo tale aiuto non è arrivato, ma è emersa una bozza di trattato europeo che mette le nazioni in una gabbia depressiva.

Il mercato continuerà a punire l’Italia perché il rigore eccessivo e non bilanciato da stimolazioni alla crescita amplificherà la tendenza recessiva già in atto per motivi di contrazione della domanda globale. Confindustria stima una caduta del Pil dell’1,6% il prossimo anno, ma non esclude una decrescita oltre il 2%. Se si avverasse sarebbe un disastro.

Per evitarlo il governo Monti deve cercare di fare due cose: (a) misure immediate che aumentino la fiducia interna sulla crescita futura dell’Italia per aumentare consumi e investimenti; (b) opporsi al criterio tedesco e far valere quello di bilanciamento tra rigore e crescita per l’Eurozona, spostando l’obbligo al pareggio di bilancio, per tutti, al 2016, permettendo così all’Italia di rispettare il requisito di rigore senza impoverimenti eccessivi.

 

www.carlopelanda.com

Leggi anche

SCENARIO UE/ Il "problema Italia" che decide le sorti dell'euro20 ANNI DI EURO/ Il fallimento europeo che può darci ancora anni di crisiFINANZA/ La “spia rossa” sull’Italexit accesa da Bloomberg