Cosa intende fare Marchionne? Ieri, sembrava che non avesse escluso l’abbandono dell’Italia da parte di Fiat. Oggi, in conferenza stampa, a Bruxelles, dove si è recato per un incontro dell’Acea, ha ritrattato. Spiegando che, effettivamente, un problema, in Italia, c’è. Ma, laddove si verificasse anche la più catastrofica delle ipotesi, Fiat, nel nostro Paese, grazie alla sua contestuale presenza sulla scena internazionale, godrebbe della copertura finanziaria per resistervi. Poi, ha aggiunto che non è in discussione l’impegno sulla penisola. Interpellato da ilSussidiario.net il giornalista economico Ugo Bertone, pone due premesse necessarie per capire come stiano realmente le cose: «Anzitutto, come Marchionne stesso ha ammesso, lui è vittima di un rapporto incompiuto tra l’Italia a la Fiat. Obiettivamente, infatti, c’è sempre una forte emotività quando si parla del Lingotto. Nonostante siano 6-7 anni che non riceve un euro dall’amministrazione pubblica, non c’è una volta in cui la prima obiezione non riguardi gli aiuti di Stato. Secondo: come, ancora una volta, lui stesso ha ammesso, è un pessimo comunicatore».
Inoltre, le parole di ieri di Marchionne, non sarebbero state riportate del tutto correttamente. «Aveva, infatti, semplicemente fatto un ragionamento generale su un ipotetico default in grado di bloccare, come è ovvio che sia, gli investimenti», spiega Bertone. In realtà, la Fiat non può lasciare l’Italia. «Un’azienda globale come il Lingotto, per quanto possa pensare di ridurre il suo giro d’affari in Europa, non può pensare neanche lontanamente di abbandonarla del tutto. Ora: dal momento che in Italia ha il 28% del mercato e 71mila dipendenti, se dovesse chiudere, dove si trasferirebbe? In Polonia? In Galles? Questo, per dire, che non è pensabile che lasci l’Italia». Tuttavia, «è altrettanto evidente – continua – che di fronte a un mercato che, per tutto il 2012 sarà un disastro, sull’Italia non potrà fare un grande affidamento».
Nessun piano di abbandono quindi. «Da tempo Marchionne sta tentando, caso mai, di espandersi. Bisogna sempre ricordare, del resto, che se Fiat non avesse fatto l’operazione con Chrysler, oggi sarebbe fallita». Tutto sommato, la situazione non è molto diversa dagli altri Paesi. «Tutti, in Europa, stanno delocalizzando, a partire dai francesi che, una volta consumate le ultime pillole di aiuti di Stato si stanno trasferendo in altri Paesi. L’unica azienda che si sta rafforzando, grazie alla sue ingenti risorse, è Volkswagen».
In ogni caso, la strategia di Fiat, al momento, non può essere che una sola: «Una piattaforma costa talmente tanto che deve produrre e vendere almeno un milione di pezzi. La Fiat, con Chrysler, dispone di tre piattaforme, con le quali punta ad almeno 5 milioni all’anno entro il 2014. Quanti se ne producono in Italia, America, Brasile o Polonia no fa particolare differenza». Ciò che conta, quindi «è capire che, in simili condizioni – conclude -, sarebbe velleitario fare previsioni circa la produzione italiana. L’unica cosa che Marchionne può fare, è rispondere prontamente alle esigenze del mercato, laddove ci siano».