«A questo punto Mario Monti, ma anche gli italiani tutti insieme, avrebbero il diritto di cominciare a chiedere loro qualche cosa all’Europa, dopo quello che l’Europa ha chiesto a noi». Il professor Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, grande economista, commenta i dati dell’Istat sul Pil del terzo trimestre 2011 e parla anche del futuro che ci attende. Ma sembra infastidito dai luoghi comuni sull’Italia e sottolinea la buona traiettoria sulla quale ha scommesso il Governo e il Paese.



Professore, secondo i dati dell’Istat siamo in recessione. A questo punto che cosa si deve fare per rilanciare l’economia?

Per la verità, tecnicamente non siamo ancora in recessione. Per esserlo bisogna avere due trimestri di decrescita del Pil. In tutti i casi il terzo trimestre è andato male e con tutta probabilità anche il quarto andrà male. Quindi potremmo dire di essere in recessione. Poi ci sono le previsioni di varie istituzioni e osservatorii: l’Ocse, Prometea e Confindustria, che sforna le stime più negative, con un ragguaglio sul Pil in calo dell’1,6%, tenendo conto dell’effetto della manovra. Tutto questo però non mi stupisce e non drammatizzerei nemmeno.



Per quale ragione?

Perché è del tutto evidente che in queste previsioni negative ci sia il concorso di due fattori: in primo luogo, il rallentamento dell’economia mondiale, in generale; in secondo luogo, gli effetti di una manovra durissima. Una manovra di una portata che mai avremmo immaginato. Detto questo, non mi pare comunque che l’Italia, nella media, stia peggio degli altri Paesi. Anzi, farei delle belle distinzioni. Ed è per questo che penso a una reazione italiana anche in campo europeo.

Lei quindi dà un giudizio positivo sia della manovra di Mario Monti che dell’Italia nel suo complesso?



Mettiamola in questo modo. Non so se si usa ancora dire a scuola: è uno studente che potrebbe rendere di più, ma purtroppo si applica poco. Ecco l’Italia è uno studente di questo tipo, che potrebbe rendere di più, ma per una serie di cose non risolte ottiene al momento solo un voto che sta tra il cinque e il sei. Le cose non risolte ce le siamo dette tante volte: il sommerso, la spesa pubblica improduttiva, le liberalizzazioni che non si fanno, il deficit energetico che sta aumentando a livelli storici. Però, tutto sommato, in questi venti anni e con questa manovra, l’Italia è l’unico Paese europeo che sta adottando sui conti pubblici una disciplina tedesca migliore della stessa Germania.

Lei sta sostenendo che stiamo diventando virtuosi?

Noi siamo sotto osservazione. C’è chi dice che due siano i paesi sotto osservazione speciale: la Grecia e l’Italia. Ma la Grecia, in realtà, è sotto “la tenda a ossigeno”, la stanno solamente tenendo in vita. L’Italia invece, al contrario di quanto si dice e di quanto stranamente credono i mercati, raggiungerà il pareggio di bilancio nel 2013. Conti alla mano. E a questo proposito, occorrerà ricordare che Paesi come la Francia e la Spagna non lo raggiungeranno. E non solo loro. Se per caso non lo si raggiungesse per lo 0,5% o lo 0,6% non sarebbe un dramma. Si continua a dire che bisogna mettere il pareggio di bilancio nella Costituzione, io direi che sarebbe meglio raggiungerlo. Francia e Spagna sforeranno del 5%.

 

Oltre che virtuosi, e quindi a ragione in grado di alzare un po’ la voce, lei da molto tempo, da circa un decennio smentisce il declino italiano.

 

È vero. È una battaglia, fondata sui dati, che ho sostenuto per dieci anni insieme a poche persone come il capo dell’Ufficio Studi di Mediobanca, Fulvio Coltorti. L’Italia ha un sistema industriale che non è affatto in declino. Noi abbiamo zone nel Nord e nel Centro che sono più forti della Germania e della Svezia. Alla fine anche coloro che sformano i dati se ne sono accorti e hanno dovuto darci ragione. Intanto, per una decina di anni ci hanno dato bastonate in testa.

 

Lei quindi ha fiducia sull’Italia, scommetterebbe sul nostro Paese?

 

Guardo i dati e vedo quello che hanno fatto gli italiani in questi venti anni, passando da manovre di salvezza della lira, dall’avvento dell’euro, che ci è costato, e da nuove manovre sui conti pubblici come quelle dei governi precedenti e di quello attuale. Allora, noi, in venti anni abbiamo prodotto 731 miliardi di euro di avanzo primario. Si dice che i consumi da noi ristagnino, ma cosa dire dei consumi che sono crollati del 25% in Irlanda, dei consumi che sono crollati in Gran Bretagna e Spagna? È vero che noi abbiamo uno stock di debito alto: 1970 miliardi di euro. Ma la Francia quanto avrà l’anno venturo? 1920 miliardi di euro. Faccio presente che l’Italia è il Paese più indebitato rispetto al Pil, ma non rispetto al suo patrimonio: quello delle famiglie italiane, che non sono indebitate come quelle degli altri paesi. Ora, che ci sia questa anomalia sui mercati per cui il nostro spread è più alto di quello della Spagna non mi fa alcun effetto. Perché l’Italia ha un grande sistema industriale, mentre la Spagna non ha alcuna speranza di prospettive economiche.

 

Lei pensa che questo si comprenderà con il passare del tempo?

Io credo che l’Italia non debba scoraggiarsi. Abbiamo vissuto una “scarsa credibilità estiva” che ci ha nuociuto, ma con quello che stiamo facendo adesso, se il tempo è galantuomo, potremo tracciare una traiettoria che ci ripagherà nei prossimi anni. Parliamoci francamente: se ci fosse un Monti oggi in Francia e facesse una manovra come ha appena fatta, i francesi assalterebbero per la seconda volta la Bastiglia. E se ci fosse un leader francese che proponesse un programma come quello di Monti, alle elezioni prenderebbe a stento il 3%. Se, ripeto, il tempo è galantuomo, a breve o medio termine, penso che sarà l’Italia a presentare il conto agli altri.

 

(Gianluigi Da Rold)