E anche il big bazooka di Mario Draghi, nell’arco di una mezz’ora, si è trasformato in una pistola ad acqua. Per giunta, scarica. Ieri la Banca centrale europea ha dato vita alla sua prima operazione di Ltro (la prossima è prevista per il 28 febbraio) e ha collocato 489 miliardi di euro in prestiti a 523 banche a tre anni al tasso fisso dell’1%! La domanda ha superato di molto le previsioni degli economisti, tutti concordi su un ammontare di circa 300 miliardi di euro, tranne Citi e Barclays che avevano previsto addirittura una richiesta pari a 550 miliardi di euro. Si tratta della maggiore operazione del genere, perché ha superato anche i 442 miliardi di euro del giugno 2009.
In fila insieme ai colleghi europei anche le banche italiane, le quali hanno utilizzato come collaterale circa 40 miliardi di titoli garantiti dallo Stato. Stando a una nota di Borsa, Unicredit ha emesso bond per 7,5 miliardi, Intesa Sanpaolo per 12 e Mps per 10. Seguono Banco Popolare (3 miliardi), Popolare di Vicenza (1,5), Carige (1,3), Popolare di Sondrio (1), Dexia Crediop (1,05), Bper (750 milioni), Creval (500), Credem (800), Banca Etruria (100), Iccrea (290) e Iccrea Banca Impresa (650). Risultato? Euro alle stelle? Spread in picchiata? Borse sulla luna? Manco per niente. Le piazze finanziarie hanno reagito quasi timide all’asta, con Milano che addirittura ha virato in negativo verso l’ora di pranzo poi seguita da tutte le altre, l’euro dopo essere schizzato a 1,32 sul dollaro, ai massimi da dieci giorni, è ricrollato in area 1,30 e lo spread Btp-Bund è partito come un razzo raggiungendo di nuovo area 500 punti base con continue fluttuazioni anche di 20 punti base, sintomo che la Bce potrebbe essere intervenuta sulla curva più alta del rendimento per placare la corsa.
In compenso, a salire solidamente sono stati i cds italiani e spagnoli a 5 anni, rispettivamente di 17 e
22 punti base: segnale chiaro che Roma e Madrid sono ancora – anzi, sempre più – nel mirino dei mercati. Ma perché? Semplice, quest’asta doveva mandare un segnale partendo da due opzioni. La prima, le banche prendevano a prestito liquidità a tre anni a un tasso bassissimo per poi comprare titoli di debito e dare una boccata di ossigeno alla situazione sovrana dell’eurozona. Seconda, incameravano in cassa il capitale della Bce per evitare di dover svendere assets e incorrere nella diluizione dell’equity a fronte dell’ondata di deleveraging in arrivo per far fronte alle richieste di ricapitalizzazione imposte dall’Eba entro giugno prossimo. E chi ha vinto? I mercati ne sono certi, la seconda e hanno reagito di conseguenza.
D’altronde, non c’è da stupirsi: al netto delle raccomandazioni di Draghi e degli auspici di Sarkozy, infatti, le necessità di deleveraging nel breve termine delle banche europee è di 2,5 triliardi di euro, il che significa che l’operazione Ltro di ieri ha coperto a malapena il 20% del totale. O meno, se le banche fossero così probe da dare vita davvero al carry trade, ovvero prendere a prestito all’1% investendo in bond che rendono il 6% e quindi ottenendo un profitto “gratis” del 5%. Di più, al netto dei rolls (swaps e minor utilizzo del meccanismo Mro da parte delle banche), l’ammontare di nuova liquidità sull’open market immesso ieri è del 60% minore, ovvero pari a “soli” 210 miliardi di euro: i quali, finiranno tutti in cassa, altro che sul mercato obbligazionario sovrano!
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D’altronde, l’euforia immotivata della giornata borsistica di martedì doveva farci capire come sarebbe andata la giornata di ieri. Al netto del dato Ifo tedesco, quello che misura la fiducia delle imprese, incredibilmente in crescita (ormai i dati macro che arrivano dalla Germania sembrano quelli diffusi dalle autorità cinesi), il passo del gambero innescato martedì dallo spread era figlio naturale di quanto accaduto nella mattinata a Madrid. Ovvero, boom di domanda e rendimenti in netto calo nell’asta di titoli spagnoli, più che dimezzati. Ma questo risultato, a sua volta, era frutto di un’altra variabile, ovvero proprio l’aspettativa per l’asta di ieri. È stato una sorta di “last hurrah”, una festicciola tra amici prima che l’ennesimo Re terminasse nudo di fronte alla folla urlante e impietosa degli investitori internazionali: tutti, infatti, speravano in una domanda attorno ai 300 miliardi, quantomeno per salvare le forme. Invece no, un assalto degno dell’arrivo di un camion di aiuti umanitari nella Sarajevo assediata.
E i mercati, che saranno anche impietosi ma non sono stupidi, hanno subito prezzato i rischi. Dei quali, d’altronde, abbiamo già parlato martedì: nei fatti, prestare soldi all’1% a soggetti che li
investono in obbligazioni che offrono il 6%, significa come già detto creare un profitto gratuito da carry trade, fattispecie che presume però incremento della leva e un sovraccarico ulteriore sul debito
sovrano, qualcosa che anche il più spericolato dei banchieri sa che non può permettersi di compiere per molto tempo. Insomma, a differenza di quanto spera Sarkozy, le operazioni Ltro non sono il sostituto europeo della monetizzazione del debito della Fed. Peccato che la percezione di molti sia stata invece erroneamente simile a quella del presidente francese, un qualcosa che lascia la Bce con il cerino in mano, ma che, nelle intenzioni dell’Eurotower e della Germania, allontana per sempre l’ipotesi di stampare moneta e divenire prestatore di ultima istanza. Insomma, non c’è affatto né certezza, né automaticità rispetto al fatto che una volta incassato il malloppo a costo praticamente zero dalla Bce, poi le banche acquistino realmente debito sovrano periferico (almeno nelle sue scadenze più sensibili, 5 e 10 anni, non garantite dall’arco temporale di Francoforte con il Ltro).
E la giornata di ieri ci ha fornito una prima conferma. Tanto più che, al netto delle alchimie di Mario Draghi, la spina dorsale di quello che dovrebbe essere il progetto di evoluzione fiscale deciso a Bruxells l’8 dicembre scorso, ovvero il fondo Efsf, nel giorno della grande euforia borsistica (martedì) veniva trattato ai minimi da 5 cinque giorni. Ma come? Tutta colpa di Fitch che in mattinata aveva messo in discussione il suo rating AAA? In parte sì, ma guardando alla ratio cds-cash (la differenza tra spread dei cds e quello dei bond) tutta questa variazione nella domanda/offerta proprio non si notava e, di più, le curve degli spread sovrani erano tutto tranne che in modalità da toro sui rendimenti delle scadenze 2-3 anni dei periferici rispetto al Ltro a tre anni.
Insomma, il primo vero effetto della mossa di Draghi è stato dare ossigeno alle Borse ma lasciare abbastanza indifferente il beneficiario sottostante (in parole povere, si comprano a cannone i titoli bancari perché godranno di liquidità illimitata a quasi gratis a tre anni dalla Bce, ma non ci si agita troppo sul mercato obbligazionario perché non c’è affatto la certezza che le banche, con quei soldi, compreranno poi bond sovrani). Il bond decennale dell’Efsf prezzava un rendimento del 3,38%, quindi già con status non AAA e 26 punti base di decompressione in due giorni non sono esattamente un buon segnale rispetto alla volontà di rischio delle banche rispetto al mercato dei bond sovrani. Insomma, un azzardo quello della Bce che copre però un qualcosa di potenzialmente ancora più serio.
Questo grafico pubblicato da Bloomberg lo spiega in maniera impietosa: non solo lo stato patrimoniale della Bce è già più grande di quello della Fed, 3,2 triliardi di dollari contro i 2,9 triliardi in capo a Ben Bernanke, ma la leva a cui opera l’Eurotower è 30 a 1, lo stesso livello del picco di Lehman Brothers prima del crollo.
E per quanto la Fed non sia proprio la regina della trasparenza, in confronto alla Bce possiamo paragonarla a un vetro appena pulito in un giorno di sole brillante. Riguardo l’Eurotower, infatti, sono completamente assenti sia informazioni sulla qualità degli assets che costituiscono il bilancio, sia il limite – se esiste – di incremento accettabile della leva. Un qualcosa che potrebbe portare a breve gli investitori a chiedersi se realmente la Bce è in grado di puntellare il sistema finanziario, con la conseguenza di innescare nuova tensione sui mercati obbligazionario e portare a una richiesta di nuovo aumento del premio di rischio da parte dei mercati (ovvero, spread che torna a salire).
Insomma, ciò che si vuole combattere con il Ltro, lo si rischia di scatenare proprio utilizzandolo. Inoltre, molti analisti sono certi di un combinato rischioso alle porte: da un lato l’intervento temporalmente limitato delle banche sul mercato sovrano e la loro operatività solo su scadenze entro i tre anni, dall’altro il fatto che gli spread sovrani potrebbero tornare comunque a salire nel momento in cui i mercati non accetteranno più opacità da parte della Bce e della sua leva folle e
chiederanno un dettagliato piano di salvataggio.
In effetti, l’Eurotower sta garantendo liquidità e fiducia al sistema bancario, proprio nel momento in cui la sua leva e la dimensione del suo stato patrimoniale stanno toccando i massimi assoluti. Un qualcosa che i mercati non potranno ignorare per molto ancora e che rischia di diventare ragione di vera e profonda preoccupazione. Anche perché attraverso il suo programma di acquisto di bond sovrani e fornitura di liquidità alle banche, le stime di alcuni analisti vedono l’esposizione della Bce alle economie più deboli e a rischio dell’eurozona pari a 705 miliardi di euro, quasi il 50% di
aumento in soli sei mesi, visto il dato pre-estivo di 444 miliardi di euro. Insomma, a quali perdite potenziali andrebbe incontro la Bce in caso di futuri default sovrani?
La Grecia, sia chiaro, entro marzo dovrà dichiarare bancarotta, ne sono ormai convinti anche i membri della troika visto che il deficit di budget è salito oltre il livello senza precedenti del 10% e il governo sta cominciando a bloccare alcuni pagamenti in scadenza, non ultime le pensioni e i debiti verso aziende che operano con la pubblica amministrazione. Per quanto basteranno i soldi di Ue, Bce e Fmi per onorare le scadenze sul debito? Forse marzo, appunto: dopodiché sarà default, non più tecnico visto che nessuno, nelle condizioni attuali, rischierà più di dare nemmeno due euro ad Atene (salvo ottenere isole, Partenone e quant’altro a garanzia immediatamente esigibile).
In alcuni ambienti già si definisce la Bce, il più grosso hedge fund insolvente del mondo. E se dovesse saltare? C’è un solo soggetto in grado di salvarla e non è certo la Cina (di cui parleremo diffusamente domani): è la Fed. Ma a quale prezzo?
P.S: E per capire meglio cosa si agita dietro le quinte della finanza mondiale, basta osservare il cross euro/dollaro di martedì scorso. A metà pomeriggio viaggiava ai massimi intraday di 1,3118, spinto dalle Borse e dall’asta spagnola. Poi, attorno alle diciotto, tonfo secco a 1,3067: cos’era successo? Nulla, era arrivato l’esito dell’asta di T-Bill statunitensi a 4 settimane per un ammontare di 35 miliardi di dollari: domanda/offerta 9,07%, rendimento 0,0000%. Un record ma non troppo, visto che nelle due scorse settimane le aste avevano conosciuto ratio bid-to-cover rispettivamente di 7,57% e 7,66% con rendimenti sempre a zero. Questa è la fiducia che si ha nell’euro e nell’eurozona: ci si ammazza per comprare debito Usa a brevissimo termine con rendimento zero. Non a caso, ieri Bank of America ha fissato il suo nuovo short euro/dollaro a 1,2510.