Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, ha valutato da tempo il ristagno della situazione economica italiana. Quindi non si stupisce di fronte alle notizie, cariche di dati un po’ ammassati, che riporta Il Corriere della Sera, con un titolo “Stipendi, 10 anni di perdita”. È stato proprio il professor Campiglio, in un’intervista su queste pagine di circa un mese fa, a sottolineare che da circa dieci anni i consumi degli italiani sono fermi Pertanto non è una scoperta di oggi che il potere d’acquisto degli italiani sia calato. Ma, anche di fronte a questi dati, occorre pure fare premesse e precisazioni doverose.



Professor Campiglio, viene confermata un’analisi che lei ha già fatto in base ai dati raccolti: un blocco dei consumi per gli italiani da una decina di anni a questa parte e un arretramento complessivo rispetto ad altri Paesi.

Facciamo due considerazioni preliminari. La prima è questa: è vero che l’Italia nell’area europea è il Paese in cui il cosiddetto “Pil pro capite” è diminuito dal 2002 al 2010. Di conseguenza, il risultato è che questa diminuzione comporta problemi generali. La seconda considerazione riguarda il metodo di questi calcoli, che vengono fatti con serietà a livello internazionale sul potere d’acquisto. Sono molto complicati e portano spesso a delle distorsioni. Oggi si vive tra milioni di beni ed è difficile fare un calcolo esatto. Queste stime diventano quindi difficili. Come giudicare, ad esempio, la capacità d’acquisto di una badante ucraina che guadagna euro in Italia e poi spende nel suo Paese con la sua moneta? Per carità, l’Italia ha i suoi problemi ma anche gli altri paesi ne hanno.



Forse questo tipo di “precisazioni” giornalistiche spingono il Governo di Mario Monti alla seconda tranche di una manovra che punti soprattutto sullo sviluppo e sulla crescita. L’ex ministro Giulio Tremonti sembra che abbia “riscoperto” la crescita in questi giorni. Altri esponenti del Governo dicono che bisogna vedere la manovra nel suo “insieme”. Non le pare che stiano solo aspettando quello che produce la manovra appena varata?

Sono d’accordo con questo tipo di lettura. A mio avviso stanno aspettando marzo, le “idi di marzo”. Ci sono due tranche pesanti per rinegoziare il nostro debito e poi c’è la scadenza della rinegoziazione dei trattati a livello europeo. Da quello che si comprende vogliono vedere gli effetti di questa manovra, fare insomma passare questi mesi. Poi, se non capitano disastri, bisogna mettersi a fare molte cose. Ma principalmente ce ne sono due mettere in cantiere: la prima è ridare ossigeno alle imprese e alle famiglie; la seconda è trovare una nuova disciplina per i mercati finanziari. Se non si fa questo non si va da nessuna parte.



Ridare ossigeno a imprese e famiglie sembra un programma roosveltiano.

Ma qui bisogna pur rendersi conto che ci troviamo in una situazione che ricorda gli anni Trenta. Bisogna pur prenderne coscienza una volta per tutte. Quelli furono anni durissimi, ma anche anni di grandi riforme. Finora per i mercati finanziari, in questi anni, si è fatto poco o nulla. Per imprese e famiglie è necessario assicurare una liquidità almeno come quella di due anni fa.

 

La sensazione è che i mercati non credano all’Italia?

 

L’Italia è un “piatto ricco”. L’attaccano per attaccare l’euro. È questo che occorre comprendere sino in fondo.

 

A suo parere ci sono speranze di riuscire a sventare questo attacco?

 

Pur tra molte difficoltà, io credo che l’accordo raggiunto recentemente in sede europea sia un passo avanti significativo. Mi pare di vedere un’altra disponibilità, migliore che in passato. Io la prendo come una dichiarazione di speranza. Ma certo bisogna riordinare i mercati finanziari, non si può continuare in questo modo.

 

Ma perché a suo parere i mercati continuano a credere poco all’Italia e continuano a scommettere contro l’euro?

 

Perché ci guadagnano, perché fanno solamente del business.

 

A questo punto bisognerebbe ripensare alla funzione delle agenzie di rating, ad esempio.

 

Certamente, sono completamente d’accordo.

 

Ma non si potrebbero controllare anche le operazioni che arrivano dallo “shadow banking system”?

 

Si può eccome. È in quel settore che la leva produce effetti devastanti. È una leva che si può moltiplicare fino a novanta volte. In quel settore, con 100mila euro si possono muovere 3 milioni di euro. Come è possibile non riordinare una situazione di questo tipo?

 

(Gianluigi Da Rold)